La fine del mondo catechesi Secondo la Bibbia Chiesa - Cristiani Cattolici: Pentecostali Apologetica Cattolica Studi biblici

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La fine del mondo catechesi Secondo la Bibbia Chiesa

Catechesi terza parte

La «fine del mondo»  
Scritto da Card. Giacomo BIFFI   

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Che cosa sappiamo di “quel giorno”, quando Cristo verrà nella sua gloria? Solo nella divina Rivelazione troviamo una risposta soddisfacente e illuminante. E ci troviamo “terrore” e “consolazione”


Premessa
Quando e come finirà questo nostro mondo nel quale ci è capitato di vivere? Sono interrogativi che interessano tutti, credenti e non credenti. Ma c’è una differenza. I non credenti – scienziati, filosofi, opinionisti religiosi – non offrono informazioni fondate e plausibili. Noi credenti nella divina Rivelazione abbiamo, invece, sull’argomento diverse notizie meritevoli di attenzione.
Noi adesso ci proponiamo di richiamare alcuni insegnamenti tutti proposti nell’ambito della cultura ebraico-cristiana.

Il «giorno di Jahvè»

L’attesa del “giorno di Jahvè”, come rivincita della nazione eletta troppo spesso sconfitta e umiliata, era comune nell’antico Israele. I profeti però ammoniscono che Dio entra nella storia come giustiziere imparziale di tutte le colpe, anche di quelle del suo popolo, e perciò non si può restare tranquilli nella sicurezza che sarà giorno di castigo solo per “gli altri”: «Guai a chi sospira dietro il giorno di Jahvè » (Am 5,18-20). In ogni caso, quel giorno sembra concepito come uno dei tanti giorni entro la vicenda umana, contrassegnato però da un più chiaro e deciso intervento della potenza del Signore.
La distruzione di Gerusalemme e la dispersione della nazione – rovesciando le troppo facili e troppo terrestri speranze ebraiche – hanno potuto essere considerate come l’avveramento di “quel giorno”. E in genere i profeti lo descrivono in termini di terrore e di angoscia:

«Giorno d’ira quel giorno,
giorno d’angoscia e di afflizione,
giorno di rovina e di sterminio,
giorno di tenebre e di caligine,
giorno di nubi e di oscurità...» (Sof 1,15).

Ma anche dopo la catastrofe nazionale il tema non si esaurisce: prosegue rivestendosi di una luce di consolazione. In “quel giorno” Dio sarà «un rifugio al suo popolo, una fortezza per gli Israeliti» (Gl 4,16), i giusti trionferanno (cf MI 3,13-21) e Gerusalemme si illuminerà di uno splendore nuovo e ineffabile (cf Zc 14,6-9).


Il «giorno del Signore»

Gesù si appropria del “giorno di Jahvè”, che diventa il “suo giorno”; e non è una delle prove più deboli della sua volontà di presentarsi con gli attributi divini.
I “loghia” di Cristo dove compare questa appropriazione sono tra quelli che più sicuramente sono stati trasmessi così come sono usciti dalle labbra del Maestro; ne è conferma il titolo di Figlio dell’uomo, che qui si trova e che la prima comunità eviterà ben presto di usare. È un titolo che Gesù desume dalle profezie di Daniele, dove indica un personaggio misterioso di origine celeste, che sarà il protagonista degli ultimi tempi.

«Vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo» (Mc 14,62). «Come il lampo, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno» (Lc 17,24). «Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell’uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi» (Lc 9,26).

Gesù ha così offerto se stesso come il “segno” certo e perspicuo di “quel giorno” e della con clusione della nostra storia: «Allora comparirà nel cielo il Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sopra le nubi del cielo con grande potenza e gloria » (Mt 24,30).

Il protagonista della fine

È opportuno osservare che, a differenza dei “miti” escatologici escogitati dagli uomini per i quali la fine della storia è di solito supposta come determinata da cause assolutamente impersonali – sicché in queste concezioni noi saremmo solo degli oggetti e non ci sarebbe nessuno con cui prendersela – nell’escatologia cristiana gli ultimi avvenimenti hanno un protagonista. Il mondo non avrà termine per l’azione di forze inconsapevoli e irresistibili che travolgeranno questo intrico di colpe e di sofferenze onde l’umanità è avviluppata dal principio, ma per la venuta di uno che, ponendo i suoi sigilli alla nostra storia, darà senso a tutto e chiarirà il senso di tutto.

La «parusìa» e la «epifanìa»

Per indicare questa azione risolutiva di Cristo sulla storia, la comunità primitiva ha desunto due vocaboli caratteristici dal linguaggio aulico ellenistico: parousìa, che letteralmente significa “presenza”, “il rendersi presente”, “venuta”; epifàneia, che letteralmente significa “manifestazione”, “apparizione gloriosa”.
Un re o un generale, per esempio, compiva una “parusia” o una “epifàneia” quando, dopo aver vinto un nemico in battaglia, entrava festosamente in una città accolto come “dio e salvatore”, e agli occhi di tutti appariva trionfante. Così è della “parusia” cristiana: Gesù, dopo aver vinto il mondo (Gv 16,33) e dal momento che il capo avversario, «il principe di questo mondo, è stato giudicato» (Gv 16,11), si appresta adesso a celebrare la sua vittoria. Il tempo che noi stiamo vivendo è appunto quello che corre tra la battaglia vittoriosa e la celebrazione del trionfo.
Gesù, che è venuto a salvarci attraverso la croce, con la risurrezione ha portato a compimento la sua vittoria e ha già dato inizio alla sua “parusia”, che perciò è al tempo stesso una realtà già in atto e una realtà del futuro. È già in atto in se stessa, ma al nostro sguardo deve ancora avverarsi, perché ai nostri occhi l’universo è ancora «soggetto alla futilità» (Rm 8,20) e avvolto dalle spoglie del mondo irredento.

Cristo, traguardo dell’esistenza umana

«lo sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente» (Ap 1,17), dice di Gesù crocifisso e risorto l’Apocalisse.
Non è solo il «Primo», è anche l’«Ultimo». «Lo inviò loro per ultimo», dice significativamente la parabola dei vignaioli, che raffigura in poche linee tutta la storia delle iniziative divine (Mc 12,1-12). Gesù è il segno della fine ed è egli stesso la fine. Con la sua venuta tutto si conclude.
Il suo avvento di mediatore crocifisso e risorto lacera lo scenario delle realtà provvisorie (1 Cor 7,29-31), e immette e proclama la realtà nuova e definitiva; basterà inserirsi vitalmente in lui per partecipare di questo rinnovamento: «se uno è in Cristo, è una creazione nuova: il mondo vecchio è passato, ecco tutto si è fatto nuovo» (2 Cor 5,17). Per questo i giorni che sono cominciati con lui sono «gli ultimi» (Eb 1,2) e con la sua missione fra noi il tempo è giunto al suo colmo (GaI 4,4). Come si vede, con la morte e risurrezione di Cristo, il mondo vecchio è già vinto (Gv 16,33). Già sono cominciati gli ultimi tempi, già la “vita eterna” si è accesa quaggiù, già si è inaugurato fra noi il Regno di Dio.

Tuttavia, poiché ci è dato spazio per la partecipazione nostra alla realtà definitiva che è già in atto, c’è come un supplemento nella vicenda e un altro momento finale. Se la risurrezione di Cristo è la fine, c’è anche una fine della fine, quando anche questa progressiva partecipazione delle creature alla condizione del Signore risorto sarà conclusa. E questa è ciò che comunemente chiamiamo fine del mondo.
Ma questa “fine della fine” sarà essa stessa una manifestazione di Cristo. Egli sarà dunque il “segno” anche di questa conclusione visibile della storia; la quale si esaurirà appunto quando «apparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo» (Mt 24,30).
Allo stesso modo, il Risorto finalmente manifestato agli occhi di tutti – e non solo ai «testimoni preordinati» (At 10,41) – sarà il segno dello stato definitivo dell’universo. Egli sarà allora riconosciuto da tutti per quello che è: come il “Primo”, da cui prende inizio l’avventura di ogni esistenza creata, e come “l’Ultimo”, oltre il quale neppure l’affannosa e instancabile e sempre insoddisfatta ricerca umana potrà più andare.
Allora la vicenda umana, sviluppata interamente secondo il disegno eterno e la trascendente sapienza di Dio, apparirà in tutta la sua superiore intelligibilità come un capolavoro d’amore e una sorprendente ragione di gioia.

2 Pietro 3,3-13 Il Signore non ritarda nell'adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c'è in essa sarà distrutta.

Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi
così, quali non dovete essere voi, nella santità della condotta e nella pietà,  attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno!
E poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia.
Ricorda

«Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate. Il Figlio dell’uomo verrà».
(Matteo 24,44).

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