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La Parola di Dio

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La Parola di Dio

La Sacra Scrittura è intrinsecamente difficile Nella lettera dell'apostolo Giacomo si legge che la fede, se non ha le opere, è morta (Gc 2,17), e che ognuno viene giustificato in base alle opere, e non soltanto per la sua fede (Gc 2,24). Lutero che insegnava diversamente, espunse dal novero dei libri ispirati la lettera di Giacomo, la lettera di paglia, come egli ironicamente la denominava. Atti degli Apostoli san Luca ci dice che i missionari Paolo e Barnaba, imponendo loro le mani, eleggevano i presbiteri ai quali affidavano le nuove cristianità da loro stessi fondate
(At 14,22) mentre i Valdesi, ne Il Nuovo Testamento con note spiegative, Torre Pellice, 1955 insegnano che i due missionari facevano eleggere da altri, cioè dai fedeli, i propri presbiteri, come usano i Valdesi tuttora.

Ancora nel Atti 21,9 leggiamo che il diacono Filippo aveva quattro figlie vergini, cioè non maritate, in greco parthenoi, voce che nell'opera valdese sopraccitata viene espressa dalla frase che erano maritate, suggerita dall'avversione dei Valdesi nei riguardi dei celibato.è il caso di meravigliarsi: la manomissione della sacra Scrittura fu abitudine comune a tutti gli eretici, preoccupati di avallare i propri errori ricorrendo alla sacra Scrittura convenientemente ritoccata o addirittura ridimensionata.

Come potrà il semplice fedele difendersi da tali manomissioni indebite?

Non certo interrogando la sacra Scrittura stessa; ma solo ricorrendo all'autorità competente della Chiesa cattolica: Chiesa per la quale i libri ispirati vennero per l'appunto ispirati: autorità cui compete in esclusiva anche la facoltà di dichiarare autentica questa e quella traduzione della sacra Scrittura dalle lingue originali in una qualsivoglia lingua moderna.Tuttavia bisogna pur ammettere che non c'è traduzione per quanto accuratamente eseguita e debitamente approvata, che equivalga perfettamente l'originale. Per questo le traduzioni cattoliche della sacra Scrittura sono corredate di note, ordinate anche a mettere a disposizione del lettore un testo il più possibile corrispondente a quello scritto nelle lingue bibliche, l'ebraico antico, l'aramaico e il greco ellenistico. Tuttavia anche il possesso di tali lingue talora non basta per afferrare il senso autentico di qualsivoglia pagina del libro sacro.Libro?

Piuttosto libretti, come dice esattamente la parola greca Biblia. Si tratta infatti di una biblioteca, alla cui composizione concorsero numerosi autori umani, amanuensi dello Spirito Santo; autori umani che scrissero innanzi tutto per i loro contemporanei; e questi e quelli con mentalità e modi di esprimere sotto vari aspetti diversi dai nostri; libri ritoccati da vari redattori posteriori lungo il decorso di non pochi secoli; libri nei quali si trattano, a volte in modo alquanto promiscuo, argomenti d'indole varia: parabole, poesie, profezie, apocalissi, preghiere, lamentazioni, imprecazioni; ma principalmente fatti storici, narrati ora in modo piano, ora ampliati dallo stile epico, ora adornati dagli aedi popolari che li conservarono e li trasmisero da secolo in secolo oralmente, fino a quando non vennero messi per iscritto in questa o in quell'altra forma.Tradurre tutto ciò secondo le esigenze della nostra mentalità senza guastare nulla, sarà mai possibile? Per questo il biblista impegnato si studia di tradurre il più possibile la propria mentalità moderna in quella degli antichi agiografi: opera certo non facile, che raramente può riuscire in modo perfetto, ma affascinante e religiosamente quant'altra mai ben rimunerata.Tuttavia la maggiore difficoltà che contrasta la retta interpretazione della sacra Scrittura, non deriva tanto dalla sua forma letteraria, quanto dal suo contenuto.

E’  facile convincersene, sol che si badi a quanto avviene presso quei Protestanti che ricorrono alla Bibbia come a un prontuario di ricette. In tal modo, a base di Bibbia, si possono sentire autorizzati oggi ad affermare una certa opinione, e domani la contraria; oggi a sostenere la moralità di un certo comportamento, e domani a riprovarlo. Ciò avviene perché non si può prendere come norma di verità a sé sufficiente una pagina della sacra Scrittura avulsa dal contesto prossimo e remoto.
L'ispirazione biblica La tradizione ebraico-cattolica, riconfermata solennemente nel Concilio di Trento, afferma che l'autore della sacra Scrittura è Dio stesso; ma riconosce anche che Dio non ne è l'unico autore: a ragione si parla di Legge di Mosè, di Salini dì Davide, di Proverbi di Salomone.

Dio infatti volle servirsi a modo di strumenti intelligenti e liberi di collaboratori umani, a volte coscienti di parlare o di scrivere in nome di Dio, come quando certi Profeti proclamavano alle folle gli oracoli di Yahweh, altre volte invece del tutto inconsci della provvidenza divina tutta speciale che vegliava sul loro lavoro, illuminava la loro mente, dirigeva la loro volontà, tanto da ottenere che trasmettessero fedelmente agli uomini mediante i loro scritti il messaggio di Dio. In questa azione dello Spirito Santo sulla mente e sulla loro volontà dell'agiografo consiste essenzialmente la sacra ispirazione, secondo la definizione classica della medesima stilata da Leone XIII il 18 novembre 1893 nell'enciclica Providentissimus Deus.Tali strumenti umani, nello scrivere, nel ritoccare, nel ridimensionare i libri ispirati, lasciarono in essi la propria impronta, in modo analogo a quanto avviene di un pennino che, pur tracciando fedelmente le consonanti e le vocali volute da colui che impugna la penna, le traccia tuttavia più o meno fini, più o meno intozzate, a seconda della forma e dell'elasticità della propria punta.Ciononostante anche la forma letteraria si deve dire ispirata, in quanto è lo Spirito Santo che elesse questo piuttosto che quell'altro strumento umano appunto perché in consonanza con la propria personalità e temperamento e sensibilità artistica, avrebbe usato un certo genere letterario piuttosto che un altro: anche la forma dei pennino viene scelta dallo scrivente, quando sceglie quel certo pennino.

Il metodo storico-critico è il metodo indispensabile per lo studio scientifico del significato dei testi antichi. Poiché la Sacra Scrittura, in quanto «Parola di Dio in linguaggio umano», è stata composta da autori umani in tutte le sue parti e in tutte le sue fonti, la sua giusta comprensione non solo ammette come legittima, ma richiede, l’utilizzazione di questo metodo.
San Luca ci assicura di non essersi accinto a comporre il suo Vangelo, che dopo aver investigato diligentemente ogni cosa sin dall'inizio (Lc 1,3).Tanta cura sarebbe stata superflua, se lo Spirito Santo gli avesse dettato quanto egli mise per iscritto. Se si prende la parola "dettato" nel suo senso più stretto e rigoroso, la sacra ispirazione non può essere dichiarata propriamente "dettato dello Spirito Santo". Negli Atti 23,26-30 san Luca inserisce di sana pianta la lettera inviata al procuratore romano Felice dal tribuno Claudio Lisia: lettera nella quale Claudio Lisia, mentendo, afferma di essere corso a salvare Paolo aggredito dai Giudei, appena seppe che Paolo era cittadino romano.Anche tale lettera si può dire ispirata, non meno che ogni altra pagina degli Atti, non in quanto sia stato ispirato Lisia a scriverla, e tanto meno a mentire, ma in quanto venne ispirato san Luca, affinché la inserisse negli Atti.

Così si dica della sentenza dei Sinedrio: È reo di morte (Mt 26,66).Lo Spirito Santo ispirò san Matteo a collocarla nel suo Vangelo; ma fu il demonio a ispirarla ai sinedristi, non lo Spirito Santo.Consideriamo ancora la lettera di Lisia per una precisazione ulteriore. Detta lettera non rivela una qualche verità altrimenti inaccessibile alle capacità conoscitive naturali dell'uomo: tutto quello che vi si legge, è uscito dalla mente e dalla fantasia di Lisia: tutto ciò che vi si contiene, è ispirato; nulla di ciò che vi si contiene è rivelato.Non tutto ciò che è ispirato, è necessariamente anche rivelato. La sacra ispirazione ha un'estensione maggiore della divina rivelazione.Ecco perché non fa difficoltà ammettere come ispirati nella Bibbia anche dei semplici ornamenti pittorici, quali ad esempio i riferimenti al cane che accompagna Tobia e l'arcangelo Raffaele lungo il viaggio, che precede costoro alla casa dove li attende Tobia il vecchio, cui annunzia il ritorno dei figlio menando festosamente la coda (Volgata-Tobia 6,1; 11, 9).

La sacra Scrittura ha per autore principale Dio, e perciò è ultimamente parola di Dio. Dio ce la rivolge per farci conoscere delle verità a noi naturalmente inaccessibili, i divini misteri, e quindi la meta suprema per la quale ci ha creato, e i mezzi che ci offre affinché possiamo raggiungerla. Se la sacra Scrittura contenesse qualche errore vero e proprio, ci proponesse cioè come verità comunicataci da Dio qualche falsità senza definirla per tale, senza il debito correttivo, cesserebbe di essere sentiero di vita, né potremmo ritenerla derivata dalla fonte da Dio, fonte ultima di ogni verità. Ora, scorrendo le pagine della sacra Scrittura, possiamo imbatterci nell'espressione Dio non esiste. Presa a se stante è certamente falsa, e non può essere parola di Dio. Tutto cambia appena la si ricolloca nel suo contesto immediato: Lo stolto pensa: "Non c'è Dio" (Sal 14 [13], 1). Questa o quella parte della sacra Scrittura, avulsa dal contesto più o meno prossimo, può assumere un significato addirittura antitetico rispetto a quello inteso dal suo autore.

Or questo può avvenire anche per il Vecchio Testamento in genere, quando venga avulso dal Nuovo. La rettifica o condanna di un qualche. comportamento o di una qualche opinione errata, a volte è dato trovarla nel Vecchio Testamento stesso. Così avviene a riguardo dell'opinione ateistica espressa dall'insipiente, subito corretta dal contesto che ne denuncia l'insipienza; così avviene per la ribellione di Adamo, per il fratricidio commesso da Caino, per l'amoralismo di Lamek, colpe condannate da tutto il contesto.
Di altri comportamenti ed opinioni invece la messa a punto definitiva si trova solo nel Nuovo Testamento. Basti considerare il discorso della Montagna. In esso Gesù, dopo aver premesso di non essere venuto per distruggere, ma per portare alla piena maturazione le prescrizioni della Legge e dei Profeti, per ben sei volte presenta la sua legge come correttivo al comportamento tollerato dall'antica legge: Avete udito quanto fu detto agli antichi... Ma io vi dico (Mt 5).Dal punto di vista morale l'antica legge a volte, più che disposizioni positivamente divine, non conteneva che delle limitazioni poste da Dio a dei costumi immorali incancreniti. Una legge che li avesse interdetti in tronco, non avrebbe avuto risonanza: invece di giovare, avrebbe suscitato meraviglia, scandalo, disprezzo. Per questo il Signore agì come il medico che vuol disintossicare una persona affetta da alcoolismo: non la priva bruscamente dell'alcool; ma gliene concede via via sempre di meno, fino a quando potrà negarglielo del tutto senza pericolo.

Ora il compito di restaurare integralmente la legge di Dio era riservato a Gesù, che infatti non esita a legiferare come solo Dio stesso avrebbe potuto legiferare, e nel campo morale proibisce in modo inequivocabile il divorzio, pur tanto diffuso universalmente e non raro anche tra il popolo d'Israele, la poligamia, già tollerata nella stessa tribù di Abramo; la vendetta privata estesa talora anche contro degli innocenti; e nel campo dottrinale proietta un raggio di chiara luce sull'aldilà, sostituendo la sua dottrina categorica nei riguardi del Paradiso e dell'Inferno, all'opinione sullo Sheòl, tanto vaga e nebulosa e, fatta eccezione per qualche persona particolarmente privilegiata e illuminata, tanto diffusa in Israele.Vediamo ora, commentando un versetto difficile, in che senso la Bibbia non contiene erroriNon i morti lodano il Signore, né quanti scendono nella tomba. Ma noi, i viventi, benediciamo il Signore ora e sempre. (Sal 115, 17-18 [113, 25-26]).L'espressione sempre è enfatica: significa infatti fino a che vivremo, perché il salmista ha affermato esplicitamente che, finita questa vita, l'uomo cessa di lodare il Signore. Una tale opinione che a prima vista sembra ignorare una retribuzione nell'aldilà discriminatrice dei buoni e dei malvagi, offende l'autore dei libro di Giobbe (21 passim), lascia perplesso Geremia (12,14), e viene contraddetta in qualche altro salmo (16 [15], 49 [48]). Anche se non si può affermare che l'autore di questo salmo affermi formalmente l'impossibilità dei morti di lodare i Signore: il v. 13 dello stesso salmo suona: Il Signore benedice quelli che lo temono, benedice i piccoli e i grandi. Quelli che lo temono sono i viventi, il "noi" del v. 18.

Chi non teme il Signore è solo uno destinato ad una condizione in cui non si può lodare il Signore. Quindi l'autore non vuole dire nulla di preciso sull'esatta condizione degli uomini dopo la morte, ma soltanto, in termini poetici, sul destino di chi non teme il Signore: scendere nel silenzio (ebr.: dumah), nell'assenza di lode. Quindi non è esclusa neppure l'ipotesi dell'inferno, in cui i dannati sono immersi in questo silenzio assoluto di espressioni di lode. Vediamo quindi come è difficile capire il significato della scrittura e solo il contesto e l'interpretazione globale della Chiesa rendono ogni singolo versetto assolutamente privo di errore. In altre pagine del Vecchio Testamento si riprende questo tema, e si alimenta la speranza in una vita eterna nell'Aldilà, come nel libro della Sapienza (3,1-11) e nel secondo libro dei Maccabei (7passim). Tuttavia solo dalle labbra di Gesù sono pronunciate delle espressioni che a questo riguardo non lasciamo adito al minimo dubbio:

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. (Gv 6,54).

Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno
(Gv 11, 25b-26).

E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna (Mt 25,46).
Quello che, sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento, rettamente interpretati, non troveremo assolutamente mai, è l'approvazione diretta e esplicita dei comportamenti immorali e delle opinioni erronee e l'autorizzazione a farle nostre. A volte, quando non sono deprecate, sono riportate a titolo di cronaca senza commenti, come avviene per il suicidio di Saul, ma anche a nostro indiretto ammonimento come avviene per i sentimenti anticristiani espressi da questo o da quell'altro personaggio biblico.
Come Giona fu tre giorni e tre notti nel ventre del cetaceo, così il Figlio dell’Uomo starà tre giorni e tre notti nelle profondità della terra.”

C’è chi contesta i tre giorni e le tre notti, facendo notare che partendo dal venerdì pomeriggio, fino ad arrivare all’alba della domenica non ci sono tre giorni e tre notti, ma un giorno e mezzo, calcolando per un giorno il completamento delle 24 ore.
Eppure per gli ebrei non era così, infatti sant’Agostino ci spiega che:

Per quanto riguarda il venerdì dovrai intendere come una notte e un giorno, e quindi per un giorno intero, quelle ore del giorno che seguirono la sepoltura aggiungendovi anche la notte che l’aveva preceduto; il sabato notte e giorno; per la domenica sono un giorno intero, la notte e l’alba dello stesso giorno. In tal modo, considerando come un tutto anche la parte, hai i tre giorni e le tre notti. È come quando d’una donna incinta si dice che è al decimo mese della gravidanza. Non si vuole dire altro che i nove mesi sono già completi e l’inizio del decimo mese lo si computa per un mese intero. Lo stesso notiamo a proposito della trasfigurazione del Signore sul monte. Un evangelista dice che avvenne dopo sei giorni (Matteo 17,1) mentre un altro dopo otto (Luca 9,28). Questo secondo computa come giorni interi e l’ultima parte del primo giorno, (quello nel quale il Signore promise l’evento) e la prima parte dell’ultimo giorno (quello cioè in cui la promessa si realizzò). Egli scrive così per farti comprendere che l’altro, parlando di sei giorni, si riferisce ai soli giorni intermedi, che effettivamente furono completi e interi. Da notarsi anche che, nella Genesi, il giorno comincia col sorgere della luce e finisce con le tenebre, volendosi indicare con ciò la caduta dell’uomo; nel Nuovo Testamento invece il giorno inizia dalle tenebre per muovere verso la luce, come fu detto: Dalle tenebre sorge la luce. Con ciò si indica l’uomo che, liberato dai peccati, giunge alla luce della giustizia. Senza un’adeguata spiegazione, solo con la preghiera i nostri mezzi e la nostra scarsa umiltà, avremmo capito il perché vengono menzionati giorni diversi dai diversi agiografi?

I settantadue discepoli Luca 10,2
La terra compie l’intero suo giro in ventiquattro ore, e ciò anche noi osserviamo. Una cosa simile avvenne quando fu dato l’incarico di predicare il Vangelo della Trinità ai settantadue discepoli: settantadue infatti è il prodotto di tre per ventiquattro. Il fatto poi che li manda a due a due è un richiamo mistico alla carità, sia perché due sono i comandamenti della medesima caritàsia perché nessuna carità può esistere se non ci sono almeno due persone.
(At 14,22) mentre i Valdesi, ne Il Nuovo Testamento con note spiegative, Torre Pellice, 1955 insegnano che i due missionari facevano eleggere da altri, cioè dai fedeli, i propri presbiteri, come usano i Valdesi tuttora.

Ancora nel Atti 21,9 leggiamo che il diacono Filippo aveva quattro figlie vergini, cioè non maritate, in greco parthenoi, voce che nell'opera valdese sopraccitata viene espressa dalla frase che erano maritate, suggerita dall'avversione dei Valdesi nei riguardi dei celibato.è il caso di meravigliarsi: la manomissione della sacra Scrittura fu abitudine comune a tutti gli eretici, preoccupati di avallare i propri errori ricorrendo alla sacra Scrittura convenientemente ritoccata o addirittura ridimensionata.

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