Dio e' Amore Catechesi cristiana - Cristiani Cattolici: Pentecostali Apologetica Cattolica Studi biblici

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Dio e' Amore Catechesi cristiana

Catechesi seconda parte

Dio è amore  
Scritto da Don Pietro CANTONI   

 
«Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1Gv 4,8).
«E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1Gv 4,16).


«Se vedi la carità, vedi la Trinità». Queste famose parole di sant’Agostino si trovano al centro della prima enciclica di papa Benedetto XVI Deus caritas est (Dio è amore). Già, perché “carità” vuol dire proprio “amore”. I cristiani si sono trovati ben presto in imbarazzo nell’uso di questa parola che aveva ed ha una posizione centrale nel loro credo e nella loro vita e per questo sono ricorsi a termini alternativi, tra cui “carità”. “Amore” è infatti una parola che si consuma. Con il termine “amore” si designano troppo spesso cose che con l’amore vero non hanno nulla a che vedere, che ne sono anzi la più radicale contraddizione. Se ne era già accorto san Giovanni, che è il sublime cantore dell’amore di Dio che si è manifestato in Cristo Gesù: «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità» (1Gv 3,18), a cui fa eco sant’Ignazio di Loyola: «L’amore si deve porre più nei fatti che nelle parole» (Esercizi spirituali, n. 230). Spesso il linguaggio dell’“amore” si esprime così: «Mi piaci, ti prendo, ti uso, ti butto…». Ma questo non è amore.

È nella Trinità che si manifesta il vero volto dell’amore. Per due volte san Giovanni nella sua prima lettera ripete «Dio è amore» (vv. 8 e 16). Il Papa spiega nell’enciclica che «l’Antico Testamento greco usa solo due volte la parola eros, mentre il Nuovo Testamento non la usa mai: delle tre parole greche relative all’amore — eros, philia (amore di amicizia) e agape — gli scritti neotestamentari privilegiano l’ultima, che nel linguaggio greco era piuttosto messa ai margini» (n. 3). Questo cambiamento nell’uso dei termini non è casuale, non è solo una questione di parole.

Che cos’è eros per i greci? Nel linguaggio della mitologia greca: chi è Eros? A questa domanda risponde Platone nel dialogo Simposio. Eros secondo Platone non è un dio ma un démone, cioè un essere intermediario tra il mondo degli dei e quello degli uomini. Afrodite dà un banchetto a cui invita tutti gli dei, tra i quali anche Poros (il mercantile “ingegno” o “espediente”).

Penìa (la povertà) sta alla porta a chiedere, secondo il suo solito, l’elemosina. Poros approfitta del vino (anzi del “nettare”) buono e abbondante e finisce per addormentarsi ubriaco nel giardino di Zeus, alle soglie della sala del banchetto. Penìa, che nella sua miseria cerca una discendenza, si unisce a lui e concepisce Eros. Eros è dunque figlio di “povertà” ed “espediente”. Povertà perché cerca appassionatamente quello che gli manca, “espediente” perché è ingegnoso e insonne in questa ricerca. Non è, né può essere dio, perché è mancante, ma non è neppure un mortale, perché non finisce mai. È un démone “mediatore”, appunto. L’amore erotico non si dà pace finche non ha trovato ciò che lo soddisfa e per questo si fa terribilmente ingegnoso. Platone spiegava che nell’uomo esso deve crescere e purificarsi: il primo gradino è costituito dalla bellezza dei corpi. Non bisogna però fermarsi lì, attraverso i corpi bisogna vedere qualcosa di ancora più bello: le meraviglie dell’anima spirituale. Ma c’è ancora una tappa da raggiungere, la contemplazione non più di questa o quella realtà bella, ma della bellezza stessa. Questa “bellezza” però rimane pur sempre qualcosa di astratto.

«Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi»
(1Gv 3,16). «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati » (1Gv 4,10). Qui l’amore si fa concreto, tremendamente concreto: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,3). L’amore allora è dono, è un dare quello che si ha a chi non ha: «L’amore consiste in una mutua comunicazione di beni, cioè nel dare e comunicare l’amante all’amato quello che ha, o di quello che ha o può dare; così a sua volta l’amato all’amante; di modo che se l’uno ha scienza, la dia a chi non l’ha, così per gli onori e le ricchezze; e reciprocamente» (sant’Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, n. 231).

«Dio è amore». Dio è agape (amore – dono) non eros
(amore – ricerca di ciò che non si ha). Non potrebbe essere altrimenti: di che cosa può mai mancare Dio? L’uomo cerca lungo tutta la sua vita ciò o chi lo possa completare nel profondo del suo cuore. Di questa vicenda l’amore tra uomo e donna costituisce un modello insuperabile. Il Papa non teme di affermare che «l’amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono » (n. 2). Ma anche l’amore tra uomo e donna – lo sappiamo per esperienza – se non si fa dono, si rivela disastroso e distruttivo. Nell’amore del Figlio di Dio fatto Uomo che dà la vita per noi sulla croce, Giovanni contempla un amore per il quale vale la pena di dare a nostra volta la vita. Un amore nel quale «si schiude una promessa di felicità» tale da oscurare tutte le altre. «Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1Gv 4,16)
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IL TIMONE  N. 108 - ANNO XIII - Dicembre 2011 - pag. 60

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