Prete si sposa con compagno gay peccato grave catechesi - Cristiani Cattolici: Pentecostali Apologetica Cattolica Studi biblici

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Prete si sposa con compagno gay peccato grave catechesi

Catechesi quarta parte
IL PRETE don Giuliano CHE SI “SPOSA” CON IL SUO COMPAGNO…
 
UN VESCOVO HA IL PRECISO DOVERE DI GIUDICARE

 
Ma alcuni lo hanno dimenticato.. VEDIAMO COSA FACEVA SAN PAOLO IN CERTI CASI.
 
Su quanto dice San Paolo ai Corinzi condannando l'immoralità compiuta da alcuni; e cioè quando dice: "questo individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore." (1 Cor 5,5).

Che significa questo versetto? Che nonostante i peccati commessi con il corpo, un giorno potrà essere redento?

2. “Erano avvenuti a Corinto due fatti scandalosi dei quali si era resa complice tutta la comunità, con la sua troppo tollerante indulgenza.
Venere, patrona di Corinto, vi era onorata con un culto in cui l’impudicizia dell'Afrodite greca si alleava con le turpitudini dell’Astarte orientale. Nel suo tempio mille hieroduli apertamente facevano traffico del proprio corpo, a suo profitto e onore: la prostituzione sacra era innalzata all'altezza di un sacerdozio. I costumi pubblici erano per conseguenza anch'essi di una deplorevole rilassatezza, e vivere alla corinzia era, anche per i pagani, un'ignominia. In quell'atmosfera avvelenata, alcuni cristiani avevano subito il contagio, e uno di essi viveva in concubinato con sua matrigna, certamente vedova o divorziata.
Si parla di fornicazione tra voi, e di tale fornicazione quale neppure tra i Gentili, talmente che uno ritenga la moglie del proprio padre. E voi siete gonfi: e non piuttosto avete pianto, affinché fosse tolto di mezzo a voi chi ha fatto tal cosa! (1 Cor 5,1-2).

Non si tratta di commercio passeggero, ma di una unione stabile, come quella di Erode Antipa con Erodiade, moglie del suo fratello Filippo. La legge romana, così larga in materia di matrimoni, proibiva tali unioni, e gli esempi che la storia profana ne poteva offrire, erano riprovati dal sentimento pubblico, d'accordo in questo con l'istinto naturale. Ora i fedeli di Corinto non sembravano commuoversene troppo: continuavano a frequentare il colpevole e lo ammettevano nelle loro assemblee. Forse si lasciavano illudere da questa falsa massima, che il battesimo fa del cristiano un essere nuovo, libero da tutti i suoi vincoli antecedenti ed esente da qualsiasi proibizione legale. Così agli occhi dei rabbini la conversione al giudaismo rompeva tutte le relazioni di parentela, e Maimonide insegna espressamente che è lecito al proselito sposare la sua matrigna.
L'indignazione di Paolo fu al colmo. Era sua pratica costante il sottoporre tutti gli scandalosi a una specie di scomunica la quale portava con sé la cessazione anche delle relazioni di convenienza e di civiltà. Egli aveva minacciato questa pena agli arruffoni e agli scioperati di Tessalonica, se non avessero obbedito ai suoi ordini; più tardi imporrà a Tito di evitare l'eretico ostinato, cioè il fautore di divisioni e di disordini. Nella lettera ai Corinzi, che andò perduta, ingiungeva loro espressamente di troncare ogni relazione con gli impudichi (cfr 2 Ts 3,14)). Qual è dunque ora il suo dolore nel vedere che tollerano l'infame! Presto! si allontani l'incestuoso, affinché non siano contaminati da lui. Si era, a quanto pare, verso la Pasqua, e veniva molto a proposito questa esortazione: Non sapete che un poco di lievito fa fermentare tutto l’impasto? Togliete via il vecchio fermento, affinché siate una nuova pasta, come siete senza fermento; perché il nostro agnello pasquale Cristo è stato immolato. Solennizziamo dunque la festa non col vecchio lievito, né col lievito della malizia e della malvagità, ma con gli azzimi della purità e della verità... Togliete di mezzo a voi il cattivo (1 Cor 5,6-8).

Queste ultime parole che contengono la sentenza definitiva di Paolo, sono un'allusione al Deuteronomio (17,7) il quale stabilisce la pena di morte per certi delitti. La scomunica, specie di morte simbolica, nel Vangelo sostituisce la morte reale dell'antica Legge. Egli aveva prima pensato a una pena assai più grave e più proporzionata all'enormità del delitto.
Io però assente corporalmente, ma presente in ispirito, ho già come presente giudicato che colui il quale ha attentato tal cosa - congregati voi e il mio spirito nel nome del Signor nostro Gesù Cristo - con la potestà del Signore nostro Gesù, sia dato questo tale nelle mani di Satana per morte della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo (1 Cor 5,3-5).

I canonisti, desiderosi di trovare qui un esempio di scomunica maggiore secondo le forme attualmente in uso nella Chiesa, si domandano come mai Paolo abbia potuto fulminarla e dare ordine ai Corinzi di fulminarla in nome suo, senza istruzione del processo, senza citazione nè interrogatorio. Ma sono tutte questioni superflue: Paolo non pronunzia la sentenza e non impone ai Corinzi di pronunziarla; egli esprime soltanto il suo parere su la pena dovuta all'incestuoso notorio; forse insinua il castigo rigoroso che egli è risoluto di infliggere, nel caso in cui i fedeli non facessero nulla da parte loro. Per quello che lo riguarda, egli crede giusto e conveniente di abbandonare il colpevole a Satana, ma non dice quali formalità si dovrebbero osservare se si dovesse venire a tale castigo.

Questo castigo terribile evidentemente supponeva la scomunica, cioè l'esclusione della Chiesa con la privazione delle grazie e degli aiuti di cui la comunione dei santi è il canale; ma comprendeva pure qualche cosa di più spaventevole. Gli Apostoli che avevano ricevuto dal Signore il potere d'incatenare i demoni, avevano pure il potere di scatenarli. Il delinquente colpito da questa condanna più grave che la scomunica, veniva abbandonato alla vendetta dell'eterno nemico degli uomini e diventava preda e zimbello di Satana. Ma, siccome tutte le pene inflitte dalla Chiesa sono medicinali, lo scopo finale era sempre la conversione e la salvezza del peccatore. Almeno una volta nella sua vita, Paolo si servì di questo terribile potere: egli abbandonò a Satana Imeneo e Alessandro per insegnare loro a non più bestemmiare (1 Tm 1,20), o piuttosto perchè lo imparassero a loro spese quando fossero abbandonati, senza protezione e senza scampo, alla tirannia del demonio. Con l'incestuoso di Corinto egli è meno rigoroso; si accontenta dell'esclusione del colpevole e, se per un momento ha pensato ad un castigo più severo, lo ha fatto sempre per salvare l'anima del peccatore, affliggendo la sua carne” (F. Prat, La teologia di san Paolo, parte prima, pp. 92-95).

 
3. Lo stesso concetto emerge in un Commentario biblico:
Sia dato, ecc. Dare nelle mani di Satana, significa separare uno dalla comunione della Chiesa, ossia escluderlo dalla partecipazione di tutti quei beni di cui la Chiesa ha l'amministrazione. L'incestuoso scacciato così dal regno di Gesù Cristo verrà a cadere nuovamente sotto il dominio di Satana, per morte della carne, per essere cioè tormentato nel suo corpo da Satana, per mezzo di malattie e di altri dolori, in modo che nel suo cuore si sveglino buoni sentimenti.
Affinché lo spirito sia salvo. La pena, benché gravissima, è tuttavia medicinale, perchè destinata all'emendazione del reo, a reprimere la petulanza della sua carne, a indurlo a pentirsi del male fatto e a riconciliarsi con Dio, per essere salvo nel giorno del giudizio. Si osservi che l'Apostolo, dando l'incestuoso nelle mani di Satana, per morte della carne, non solo gli infligge la scomunica separandolo della Chiesa, ma lo consegna ancora a Satana affinché lo affligga e lo tormenti. Dicono infatti i Padri che gli Apostoli avevano non solo potestà di cacciare i demoni dagli ossessi, ma anche di consegnare i grandi colpevoli al demonio, perché venissero tormentati, e fossero così condotti a penitenza. Nella Scrittura infatti il demonio viene spesso rappresentato come la causa dei mali, che affliggono l'uomo nel corpo, nell'anima e nelle sue sostanze. Sono noti gli esempi di Giobbe (Gb 2,7-8), di Anania (Atti 5,1ss), di Elimas (At 13,8ss), e i vari fatti del Vangelo nei quali il demonio rende muti, sordi, furiosi, ecc., coloro dei quali si è impossessato”.

 
4. La Bibbia di Gerusalemme commenta: “Spesso a proposito di questo versetto si parla di «scomunica, ma la parola come tale è assente dalla Bibbia (non corrisponde esattamente ad «anàtema».

Pene di esclusione erano in uso nell’Antico testamento, nel giudaismo, a Qumran. Il Nuovo Testamento presenta diversi casi in cui però i motivi e i modi di eseguire la pena non sono uguali. Talvolta il colpevole era tenuto per qualche tempo in disparte dalla comunità (5,2.9-13; 2 Ts 3,6-l4; Tt 3,10; cfr l Gv 5,16-17; 2 Gv 10), talvolta era «consegnato» (qui; 1 Tm 1,20 a Satana, privato del sostegno dello Chiesa dei santi e, per ciò stesso, esposto al potere che Dio lasciò al suo avversario (2 Ts 2,4; cfr. Gb 1,6); anche in questi casi estremi si sperano il pentimento e la salvezza finale (qui; 2 Ts 3,15; ecc.).
Una tale disciplina suppone un certo potere della comunità sui suoi membri (cfr Mt 18,15-18).
 
5. Come si vede, anche nella Chiesa primitiva - che godeva della Divina Rivelazione - si usava misericordia.
Ma i metodi erano diversi dai nostri. Quello che a quei tempi era un caso isolato, oggi è un fatto purtroppo comune.
Indubbiamente la consegna a satana era terribile, ma salutare.
La salvezza dell’anima era l’obiettivo più urgente.
 
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore ti benedico.
Padre Angelo
 
Il Card. Muller ci ricorda:

Che cosa pensa delle parole di Zenti di non avere il diritto di giudicare don Giuliano perché solo Dio scruta i cuori?
Come uomo deve accompagnarlo anche quando è in errore, ma un vescovo non ha solo diritti, ma anche doveri. Uno di questi è quello della disciplina del clero e il rispetto di tutti i principi della dottrina della Chiesa e quelli riguardanti la morale e la disciplina. Dire di non voler giudicare configura il rischio di una pericolosa negligenza.
 
Eppure, lui ha detto di non avere il diritto di giudicare l’uomo in sé…
Si gioca sull’ambiguità perché il rischio è quello di confondere i fedeli creando una grande confusione. Gesù ha detto a Pietro “conferma le mie pecore” non “confondile”. Quando un sacerdote commette un atto di pedofilia allora non si può dire che non lo si può giudicare? Invece l’autorità ecclesiastica ha il dovere di giudicare un atto immorale fatto da un uomo perché il vescovo è giudice.
 
Qual è il giudizio che avrebbe dovuto emettere, allora?
Che non si tratta di un matrimonio, di una strada da percorrere liberamente, ma di un atto immorale e che tale va chiamato senza paura.
 
Dalle parole di Zenti si è capito che la relazione andasse avanti da molto tempo, con le chiacchiere dei fedeli…
Questo purtroppo mina la credibilità del sacerdozio, alla fine i fedeli pensano che tutto sia tollerato. Il risultato è la perdita di credibilità della Chiesa intera.
 
Muller: "Deluso, un vescovo è anche giudice"
    
                    
  • Ecclesia
  •                 
  • 07-07-2018
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"Si gioca  sull’ambiguità perché il rischio è quello di confondere i fedeli creando  una grande confusione. Gesù ha detto a Pietro “conferma le mie pecore”  non “confondile”. Quando un sacerdote commette un atto di pedofilia  allora non si può dire che non lo si può giudicare? Invece l’autorità  ecclesiastica ha il dovere di giudicare un atto fatto da un uomo e  chiamarlo immorale perché il vescovo è giudice". Così il cardinale  Muller sul caso di Verona del prete "sposo a un uomo".
                                                                                                                    
                                     
                                                                 
“L’autorità della  Chiesa è obbligata a intervenire in casi come questo perché il vescovo è  anche giudice”. Il cardinale Ludwig Gerhard Muller ha appena letto i  resoconti dei giornali sul caso di Verona e non riesce a celare una  sorta di delusione. “Delusione – spiega alla Nuova BQ – per  come è stata affrontata questa vicenda da parte del vescovo Zenti. La  Chiesa non può utilizzare parole vaghe in queste circostanze e deve  difendere la Parola di Dio davanti all’opinione pubblica.
 
Eppure Zenti ha ribadito che ad oggi don Giuliano è ancora un suo prete…
Questo sacerdote è automaticamente scomunicato, è sospeso dalla sua  missione e l’unica cosa da fare ora è un processo canonico che lo porti  alla secolarizzazione. Non si può agire come se la richiesta di  riduzione allo stato laicale sia una pratica da rimandare così  arbitrariamente nel tempo.
 
Ma al di là della riduzione allo stato laicale resta la sua scelta di “sposarsi” con un uomo.
Quando un sacerdote sposa una donna è automaticamente sospeso, tanto più  quando fa un atto contro la natura del Sacramento come questo.
 
Ha anche detto di voler celebrare messa in privato…
Impossibile. E’ un atto illegittimo né lecito.
fonte lanuovabq.it
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