Pasqua Catechesi resurrezione Cristo Gesu' - Cristiani Cattolici: Pentecostali Apologetica Cattolica Studi biblici

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Pasqua Catechesi resurrezione Cristo Gesu'

Catechesi quarta parte

La Pasqua ebraica e la Pasqua di Cristo

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Cristo è Risorto è veramente risorto!


La risurrezione di Gesù è un fatto storico o un dato di fede?
 
Ai nostri tempi la storicità della risurrezione di Gesù forma l'oggetto di un complesso e profondo dibattito, perché suscita problemi di carattere filosofico, ermeneutico, linguistico. Vari esegeti e teologi contemporanei hanno affermato con chiarezza che la risurrezione di Gesù non può essere un fatto storico, perché trascende la storia, in quanto non è verificabile con gli strumenti di questa scienza; essa può essere solo oggetto di fede, senza alcun fondamento razionale (cf. R. Bultmann, G. Ebeling, ecc.).
Altri biblisti tuttavia anche oggi sostengono la storicità della risurrezione di Gesù, non solo perché la scoperta della tomba vuota è un fatto storico, ma anche perché le apparizioni del Risorto sono realmente avvenute: Gesù di Nazaret è stato visto dopo la morte non solo da singoli, ma anche da gruppi di discepoli, i quali hanno reso testimonianza alla sua risurrezione, proclamando che egli è vivo (cf. J. Daniélou, W. Pannenberg, ecc.).

X. Léon-Dufour in particolare, ammonisce che bisogna guardarsi dal contemplare nel Cristo risorto un cadavere rianimato, a somiglianza di Lazzaro dopo l'uscita dal sepolcro. Il Signore è stato visto dai discepoli dopo la risurrezione; le apparizioni del Risorto non sono soggettive, ma sono avvenute realmente, sono esperienze vissute oggettivamente, in base alle quali fu scoperta l'identità dell'essere di Gesù: la persona che si è mostrata loro è realmente il profeta di Nazaret, morto sulla croce.
Agli assertori della non storicità della risurrezione del Cristo, la quale perciò costituirebbe solo un dato di fede e non un evento reale, si rivolgono queste due obiezioni:

1) secondo la testimonianza del NT l'interpretazione che Gesù è risorto, appare intenzionalmente obiettiva;
2) la fede pura nel Cristo risorto, priva di ogni appoggio oggettivo, nonostante la crocifissione e la morte, si rivela totalmente arbitraria e irragionevole.
Lo storico, pur riconoscendo la trascendenza della risurrezione di Gesù e quindi la sua incompetenza nel provare quest'evento, non verificabile con gli strumenti critici, possiede due dati storici incontestabili, chiamati «la frangia storica» della risurrezione: a) la morte in croce di Gesù e la fede dei discepoli nel Cristo risorto, incomprensibile dopo lo scacco del venerdì santo; b) il sepolcro vuoto e le apparizioni di Gesù risorto ai discepoli, descritte come un'esperienza oggettiva.
Il realismo delle apparizioni di Gesù nel quarto vangelo
Secondo X. Léon-Dufour, in merito alle apparizioni del Risorto, lo storico può affermare che i discepoli le hanno sperimentate nella storia. Parlando di quest'esperienza però bisognerebbe guardarsi da due eccessi, quello di tipo «spiritualista» che riduce questo fatto a un'esperienza puramente soggettiva, derivante da una fonte puramente terrestre; la descrizione degli evangelisti e la testimonianza di Paolo contraddicono tale interpretazione: l'esperienza fu una visione «oggettiva».

Il secondo eccesso di carattere «letteralista» tende ad assimilare l'esperienza del Cristo risorto a un evento ordinario, non interiore, ma esteriore. L'esperienza spirituale dei discepoli, non puramente soggettiva, ripetuta e condivisa tra essi, è stata comunicata con la mediazione del linguaggio comune e della tradizione religiosa giudaica, in particolare con l'aiuto della fede nella risurrezione collettiva alla fine dei tempi.
La redazione giovannea delle apparizioni del Cristo risorto però accentua molto il realismo di queste manifestazioni del Signore Gesù ai suoi amici. Chi legge questi racconti,senza pregiudizi di carattere filosofico, ammette spontaneamente la realtà di tali eventi. L'ostinazione di Tommaso nell'incredulità con la dichiarazione di volersi arrendere solo dinanzi all'evidenza dei fatti, solo dopo che ha visto con i suoi occhi e toccato con le sue mani le ferite dei chiodi e della lancia nel corpo del Maestro (Gv 20,25), mostra chiaramente che i primi discepoli erano tutt'altro che dei visionari esaltati. La morte in croce del Cristo li aveva scioccati profondamente; se quindi non avessero visto realmente il Signore con le cicatrici delle mani e del costato (Gv 20,19s), non avrebbero neppure pensato di rendere testimonianza a quest'evento eccezionale (Gv 20,25a).
Il realismo della risurrezione di Gesù è messo in luce soprattutto nell'apparizione del Signore ai suo amici, presente l'incredulo Tommaso; in questa scena infatti Gesù invita l'ostinato apostolo a mettere il dito e la mano nelle ferite, lasciate nel suo corpo dai chiodi della croce e dalla lancia del soldato (Gv 20,27). La persona gloriosa che si mostra ai discepoli è proprio il loro Maestro, è Gesù di Nazaret, morto in croce, ma ora vivo, perché risorto dal sepolcro.

La tomba vuota
Nei tempi passati l'apologetica considerava il sepolcro di Gesù trovato vuoto, uno degli argomenti più forti per dimostrare la risurrezione del Signore. Oggi però molti esegeti (cf. R. Bultmann, H. Grass, W. Marxsen, G. Ebeling ecc.) negano la validità di questa prova, perché considerano la tomba vuota una leggenda. Secondo X. Léon-Dufour i dati letterari non impongono immediatamente la storicità del fatto; i racconti evangelici non affermano che il cadavere di Gesù è stato sottratto al nostro universo.
Lo storico può dedurre solo che alcune donne sono andate al sepolcro di Gesù e non hanno trovato il suo corpo; oltre non può andare né è competente per dichiarare che il cadavere del Cristo è stato sottratto all'universo visibile. In merito a questo problema però E. Ruckstuhl rileva giustamente che se il sepolcro vuoto fosse stato inventato, lo si sarebbe fatto scoprire da uomini e non da donne, le quali nel mondo giudaico erano inabili alla testimonianza.
Ci piace terminare queste brevissime note sulla realtà della risurrezione di Gesù, citando il pensiero di un rabbino ebreo non cristiano, che dovrebbe far riflettere tanti esegeti cristiani:
«Io accetto la risurrezione della domenica di pasqua, e non come invenzione della comunità dei discepoli, bensì come un evento storico. Sono assolutamente convinto che i dodici galilei (contadini, pastori e pescatori, ma neanche un professore di teologia) non sarebbero rimasti assolutamente impressionati dai theologùmeni scientifici che troviamo in K. Rahner o in R. Bultmann. E se un evento storico-concreto come quello della crocifissione li gettò nell'angoscia e prostrazione più totali, come narrano tutti e quattro i vengeli, era necessario un altro evento non meno storico e concreto per strapparli da questa valle di disperazione e in breve tempo trasformarli in una comunità di salvezza ricolma di gioia e di esultanza» (P. Lapide, in P. Lapide – J. Moltmann, Monoteismo ebraico – Dottrina trinitaria cristiana, Queriniana, Brescia, 1980, 47s.).

E’ giusto partire dopo la nona piaga, quella delle tenebre, il faraone «convocò Mosè e Aronne e disse: “Partite, servite il Signore! Solo rimanga il vostro bestiame». Mosè oppose un netto rifiuto. Bastò questo perché il faraone si ricredesse e subito disse a Mosè: «“Vattene da me!... Guardati dal ricomparire davanti a me, perché quando tu rivedrai la mia faccia morirai”. E Mosè disse: “Hai parlato bene: non vedrò più la tua faccia”».«Il Signore disse a Mosè: “Ancora una piaga manderò contro il faraone e l’Egitto; dopo egli vi lascerà partire da qui, vi lascerà partire senza restrizione, anzi vi caccerà via di qui”». Il Signore vuole compiere, per il suo popolo, un atto di giustizia e ordina a Mosè che ogni famiglia ebrea chieda ai suoi vicini oggetti di valore, d’oro e d’argento, ed egli muove il cuore degli egiziani ad essere generosi con gli ebrei. Mosè annuncia al faraone l’ultimo, tremendo castigo: “la morte dei primogeniti”. Il faraone gli resiste ancora. L’indignazione di Mosè definito uomo molto mansueto, era proprio giunta al colmo.Viene poi narrata l’istituzione della Pasqua. Pasqua vuol dire “passaggio”. Quello che il Signore aveva fatto per il suo popolo era cosa troppo grande per non essere ricordata solennemente fino alla fine dei secoli. Il suo significato è profondo. C’è un passaggio dalla schiavitù alla libertà, dal potere di satana al potere di Dio.

La sapienza di Dio agisce in modo da educare il suo popolo alla conoscenza dei valori supremi della vita e, prima ancora, alla conoscenza di lui. Era pur necessario che almeno un popolo, su tutta la terra, fosse totalmente suo. E, come un tempo egli si era manifestato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, ora vuole manifestarsi ai loro discendenti.Gli ebrei, vissuti per 430 anni in Egitto, avevano visto la magnificenza dei templi dedicati agli idoli e potevano anche esserne affascinati.Vedremo fino a che punto l’idolatria aveva contaminato gli israeliti. Chi aveva ricordato loro, in quel tempo, le grandi rivelazioni di Dio ai loro padri? Ora la sua onnipotenza si era manifestata nelle azioni tremende da lui compiute contro il popolo egiziano.L’inizio di una nuova vita libera da tutte le fatiche e le angherie, subite in Egitto, dovette lasciarli come trasognati e Mosè, per il comando di Dio, vuole che il momento della loro liberazione venga celebrato in modo singolare e solenne.Innanzitutto, vi sarà un nuovo computo del tempo. Il mese nel quale gli ebrei lasceranno l’Egitto dovrà essere considerato il primo mese dell’anno. Nel decimo giorno del primo mese ogni famiglia doveva provvedersi di un agnello o di un capretto, maschio, di un anno, senza difetti. Al quattordicesimo giorno del mese, “fra i due vespri”, quell’agnello doveva essere ucciso.

Con il suo sangue gli ebrei dovevano segnare gli stipiti e la soglia della porta delle loro case. In quella stessa notte, doveva esserne mangiata la carne arrostita al fuoco con pane azzimi e con erbe amare. E dovevano fare questo in tenuta da viaggio, in fretta. Con questo pasto si celebrava il passaggio del Signore.In quella notte il Signore fece morire ogni primogenito degli egiziani. Il sangue sulla soglia e sugli stipiti delle case degli ebrei era il segno che essi dovevano essere preservati da quel flagello. Dal quattordicesimo al ventunesimo giorno del mese bisognava mangiare pane azzimo, non lievitato; chi non avesse obbedito doveva essere messo a morte. Che cosa significava quel lievito? Quale forza vitale negativa vi era in esso? Mosè infine dichiara che questo «“È il sacrificio della Pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli israeliti in Egitto, quando colpì l’Egitto e salvò le nostre case”. E il popolo si inginocchiò e si prostrò».

Ecco, infine, l’epilogo di questo dramma: «A mezzanotte il Signore percosse ogni primogenito nel paese d’Egitto…; un grande grido scoppiò in Egitto». E il faraone chiamò di notte Mosè ed Aronne e li sollecitò a partire; così anche tutto il popolo egiziano, temendo di perire, sollecitava gli ebrei ad andarsene.Poi il Signore ordinò a Mosè che gli fossero consacrati tutti i primogeniti, degli uomini e degli animali, e gli ricorda che per sette giorni gli ebrei devono mangiare pani azzimi. E questa prescrizione doveva tener vivo, di generazione in generazione, il ricordo di quanto il Signore aveva fatto per la salvezza del suo popolo. Così quando ogni giovane ebreo avrebbe chiesto a suo padre il perché di questa tradizione gli sarebbe stato detto: «Con braccio potente il Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto, dalla condizione servile.Poiché il faraone si ostinava a non lasciarci partire, il Signore ha ucciso ogni primogenito nel paese d’Egitto». Il Signore volle che questo evento fosse ricordato per sempre. (cfr, Il Timone 2005)

La Pasqua di Cristo
Più che una semplice commemorazione, la pasqua rappresenta l’inizio e il motivo della nostra stessa fede in Cristo Gesù.  La resurrezione di Cristo è un aspetto fondamentale e irrinunciabile per la nostra fede, senza di essa non avrebbe senso credere. Ecco, la Pasqua cristiana rappresenta il passaggio dalla morte alla vita, tramite la quale ha senso la nostra speranza di salvezza e di vita eterna in Cristo.

Quel 7 aprile dell’anno che poi fu chiamato trentesimo dopo Cristo, in una Gerusalemme di cui, un quarantennio dopo, non sarebbe rimasta pietra su pietra.
Se il Natale può far sembrare tutti uniti, la Pasqua divide. Se Natale è, in qualche modo, senso e valore comune, Pasqua è scandalo e follia. Natale è un uomo che nasce: e che c’è di più consueto? Pasqua è un uomo che risorge: e che c’è di più inconsueto, di inaccettabile? <<Ma quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: “Su questo, ti risentiremo un’altra volta”>> (At 17,32) Il “mondo”, tollerante perché scettico, può accogliere anche un presepe, un giorno d’inverno. Ma c’è una domenica di primavera in cui chi si ostini a credere che davvero la morte è stata sconfitta, ritorna ad essere “un ciarlatano”, come fu Paolo per gli intellettuali pagani, ad Atene. Eppure proprio per questo il Vangelo è buona notizia. Non c’è forse, la fine della nostra incapacità di capire che la Pasqua è la Festa delle Feste? (cfr, Vittorio Messori)
Dopo che il Signore fu crocifisso e dopo che i soldati si divisero le sue vesti tirando a sorte la tunica, vediamo il seguito del racconto dell'evangelista Giovanni. Questo dunque fecero i soldati. Presso la croce di Gesú stavano sua madre e la sorella di lei, Maria di Cleofa e Maria Maddalena. Vedendo la madre, e accanto a lei il discepolo che egli amava, Gesú disse a sua madre: Donna, ecco tuo figlio. Poi disse al discepolo: Ecco tua madre. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa (Gv 19, 24-27). Questa è l'ora della quale Gesú, nel momento di mutare l'acqua in vino, aveva parlato alla madre, dicendo: Che c'è tra me e te, o donna? La mia ora non è ancora venuta (Gv 2, 4). Egli aveva annunciato quest'ora, che non era ancora giunta, e nella quale, morendo, avrebbe riconosciuto colei dalla quale aveva ricevuto questa vita mortale. Allora, quando stava per compiere un'opera divina, sembrava allontanare da sé, come una sconosciuta, la madre, non della divinità ma della sua debolezza umana; al contrario, ora che stava sopportando sofferenze proprie della condizione umana, raccomandava con affetto umano colei dalla quale si era fatto uomo. Allora colui che aveva creato Maria, si manifestava nella sua potenza; ora colui che Maria aveva partorito, pendeva dalla croce.

2. C'è qui un insegnamento morale. Egli stesso fa ciò che ordina di fare, e, come maestro buono, col suo esempio insegna ai suoi che ogni buon figlio deve aver cura dei suoi genitori. Il legno della croce al quale erano state confitte le membra del morente, diventò la cattedra del maestro che insegna. E' da questa sana dottrina che l'Apostolo apprese ciò che insegnava, dicendo: Se qualcuno non ha cura dei suoi, soprattutto di quelli di casa, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele (1Tim 5, 8). Chi è più di casa dei genitori per i figli, o dei figli per i genitori? Il maestro dei santi offrì personalmente l'esempio di questo salutare precetto, quando, non come Dio ad una serva da lui creata e governata, ma come uomo alla madre che lo aveva messo al mondo e che egli lasciava, provvide lasciando il discepolo quasi come un altro figlio che prendesse il suo posto. Perché lo abbia fatto viene spiegato da ciò che segue. Infatti l'evangelista dice: e da quel momento il discepolo la prese in casa sua. E' di sé che egli parla. Egli è solito designare se stesso come il discepolo che Gesú amava. E' certo che Gesú voleva bene a tutti i suoi discepoli, ma per Giovanni nutriva un affetto tutto particolare, tanto da permettergli di poggiare la testa sul suo petto durante la cena (cf. Gv 13, 23), allo scopo, credo, di raccomandare a noi più efficacemente la divina elevazione di questo Vangelo che egli avrebbe dovuto proclamare.
Un soldato gli aprì il fianco con una lancia...
Fu aperta la porta della vita, da cui sgorgarono i sacramenti della Chiesa, senza i quali non si accede alla vita eterna. O morte per cui i morti rivivono! C'è qualcosa di più puro di questo sangue? Qualcosa di più salutare di questa ferita?
1. Vediamo nella narrazione dell'evangelista che cosa è avvenuto dopo che il Signore Gesù, compiute tutte quelle cose che nella sua prescienza sapeva che dovevano compiersi prima della sua morte, rese, quando volle, lo spirito. I Giudei, poiché era la Preparazione, affinché i corpi non rimanessero sulla croce di sabato - era un giorno solenne quel sabato - chiesero a Pilato che venissero spezzate le gambe ai crocifissi e fossero portati via (Gv 19, 31). Non erano le gambe che si dovevano togliere, ma i corpi, cui appunto venivano spezzate le gambe per provocarne la morte e poterli così deporre dalla croce; e questo affinché non fosse turbato quel gran giorno di festa dagli orrori del prolungato supplizio dei crocifissi.
[L'evangelista usa un verbo ben appropriato.]
2. Vennero, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo, poi all'altro che era crocifisso insieme con lui. Giunti a Gesù, vedendolo già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli aprì il costato con la lancia, e subito ne uscì sangue ed acqua (Gv 19, 32-34). L'evangelista ha usato un verbo significativo. Non ha detto: colpì, ferì il suo costato, o qualcosa di simile. Ha detto: aprì, per indicare che nel costato di Cristo fu come aperta la porta della vita, donde fluirono i sacramenti della Chiesa, senza dei quali non si entra a quella vita che è la vera vita. Quel sangue è stato versato per la remissione dei peccati; quell'acqua tempera il calice della salvezza, ed è insieme bevanda e lavacro. Questo mistero era stato preannunciato da quella porta che Noè ebbe ordine di aprire nel fianco dell'arca (cf. Gn 6, 16), perché entrassero gli esseri viventi che dovevano scampare al diluvio, con che era prefigurata la Chiesa. Sempre per preannunciare questo mistero, la prima donna fu formata dal fianco dell'uomo che dormiva (cf. Gn 2, 22), e fu chiamata vita e madre dei viventi (cf. Gn 3, 20). Indubbiamente era l'annuncio di un grande bene, prima del grande male della prevaricazione. Qui il secondo Adamo, chinato il capo, si addormentò sulla croce, perché così, con il sangue e l'acqua che sgorgarono dal suo fianco, fosse formata la sua sposa. O morte, per cui i morti riprendono vita! Che cosa c'è di più puro di questo sangue? Che cosa c'è di più salutare di questa ferita?
3. E chi ha veduto ne dà testimonianza, e la sua testimonianza è veritiera, ed egli sa che dice il vero, affinché anche voi crediate (Gv 19, 35).

Non dice l'evangelista: affinché anche voi sappiate, ma: affinché crediate. Sa, infatti, chi ha veduto; e chi non ha veduto creda alla sua testimonianza. Alla natura della fede appartiene più il credere che il vedere. Infatti, che cosa vuol dire credere se non prestar fede? Questo, infatti, accadde perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato un sol osso; e ancora un'altra Scrittura dice: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19, 36-37; cf. Ex 12, 46; Zach 12, 10). Giovanni cita due testimonianze della Scrittura, una per ciascun fatto che ha narrato. Quando aveva detto: Giunti a Gesù, vedendolo già morto, non gli spezzarono le gambe, trova conferma nella profezia: Non gli sarà spezzato un sol osso. Così era prescritto a quelli che nell'antica legge ricevettero l'ordine di celebrare la Pasqua con l'immolazione dell'agnello, che, come ombra, aveva preceduto la Passione del Signore. Per questo l'Apostolo dice: La nostra Pasqua è Cristo che è stato immolato (1 Cor 5, 7), secondo quanto anche il profeta Isaia aveva predetto: Come agnello è stato condotto al macello (Is 53, 7). E nello stesso modo, la seconda testimonianza dell'evangelista: uno dei soldati gli aprì il costato, trova conferma nell'altra profezia: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto, dove c'è la promessa che Cristo tornerà nella stessa carne nella quale è stato crocifisso.
4. Dopo di ciò, Giuseppe da Arimatea, un discepolo di Gesù ma occulto per timore dei Giudei, domandò a Pilato di portar via il corpo di Gesù e Pilato diede il permesso. Venne dunque Giuseppe e portò via il corpo di Gesù. Venne anche Nicodemo, quello che in principio era andato da Gesù di notte, portando una miscela di mirra e di aloe: circa cento libbre (Gv 19, 38-39). L'espressione in principio non va riferita all'ultima proposizione, come se l'evangelista avesse voluto dire: portando in principio una miscela di mirra e di aloe, ma a quella anteriore. In principio, infatti, Nicodemo era andato da Gesù di notte, come lo stesso Giovanni narra nei primi capitoli del suo Vangelo (cf. Gv 3, 1-2). Da questo possiamo arguire che Nicodemo non si era recato da Gesù soltanto quella volta, ma che quella fu la prima volta. In seguito aveva frequentato Gesù assiduamente, per ascoltare la sua parola e diventare così suo discepolo, come è stato accertato e come ormai tutti sanno, dopo il ritrovamento del corpo di santo Stefano Essi presero, dunque, il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende con gli aromi, com'è usanza di seppellire presso i Giudei (Gv 19, 40). Non senza motivo, credo, l'evangelista ha voluto precisare il modo in cui fu sepolto, dicendo: com'è usanza di seppellire presso i Giudei. Con ciò egli ha voluto, se non m'inganno, inculcarci che nelle onoranze funebri, ci si deve attenere ai costumi propri di ciascun popolo.
5. Ora, nel luogo dove Gesù era stato crocifisso, c'era un giardino e nel giardino c'era un sepolcro nuovo, nel quale nessuno ancora era stato deposto. Allo stesso modo che nel seno della vergine Maria né prima né dopo di lui alcun altro era stato concepito, così in quel sepolcro né prima né dopo di lui alcun altro fu deposto. Là dunque, a causa della Preparazione dei Giudei, essendo il sepolcro vicino, deposero Gesù (Gv 19, 41-42). Giovanni intende dire che la sepoltura fu affrettata per non farsi sorprendere dalla sera, quando ormai, a causa della preparazione, che i Giudei da noi chiamano in latino "cena pura", non era consentito attendere a tali uffici.
6. Il primo giorno della settimana, Maria Maddalena si reca al sepolcro sul mattino, che era ancora buio, e vede la pietra tolta dal sepolcro (Gv 20, 1). Il primo giorno della settimana è quello che, in memoria della risurrezione del Signore, i cristiani chiamano "giorno del Signore", e che Matteo, solo tra gli Evangelisti, ha chiamato primo giorno della settimana (Mt 28, 1). Corre allora da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e dice loro: Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'han messo (Gv 20, 2). In alcuni codici, anche greci, c'è: Hanno portato via il mio Signore; particolare che mette maggiormente in risalto lo slancio affettivo e la devozione di Maria Maddalena, ma che non si trova nella maggioranza dei codici che abbiamo potuto consultare.
7. Pietro uscì allora con l'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Tutti e due correvano insieme, ma l'altro discepolo, più svelto di Pietro, lo precedette e arrivò primo al sepolcro (Gv 20, 3-4). E' da notare e da sottolineare questo riassunto, e come l'evangelista abbia ripreso un particolare tralasciato, aggiungendolo qui come se venisse di seguito. Egli infatti aveva detto prima: si recarono al sepolcro, e poi precisa in che modo si recarono al sepolcro, dicendo che tutti e due correvano insieme. Egli ci informa così che, portandosi avanti, al sepolcro arrivò primo quell'altro discepolo, che poi è lui stesso, ma che parla di sé in terza persona.
8. E, chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro, e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in disparte (Gv 20, 5-7). Credete che questo sia senza significato? Io non credo. Ma passiamo ad altro, dove, a motivo di qualche difficoltà od oscurità saremo costretti a soffermarci. Ricercare il recondito significato d'ogni singola cosa già di per sé chiara, è certamente una delizia dell'anima, ma una delizia riservata a chi ha più tempo di noi.
9. Allora entrò anche l'altro discepolo che era giunto prima al sepolcro. Era giunto prima, ed entrò dopo. Non è un particolare privo di interesse, ma non abbiamo tempo da dedicarvi. E vide, e credette. Qualche lettore frettoloso ha creduto di trovare qui la prova che Giovanni credette che Gesù era risorto; ma ciò che segue smentisce tale supposizione. Che vuol dire, infatti, l'evangelista stesso con quanto aggiunge: Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, secondo la quale doveva risuscitare dai morti (Gv 20, 8-9)? Egli non poteva credere che Gesù era risorto, dato che ancora non sapeva che doveva risorgere. Cosa vide allora e a che cosa credette? Vide che il sepolcro era vuoto, e credette a quanto aveva detto la donna, che cioè il Signore era stato portato via. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, secondo la quale doveva risuscitare dai morti. Il Signore, è vero, aveva loro più volte parlato della sua risurrezione, anche in maniera molto chiara; ma essi, abituati come erano a sentirlo parlare in parabole, non avevano compreso, o avevano creduto che egli volesse riferirsi ad altra cosa. Ma rimandiamo il seguito ad altro discorso.
Nelle chiese di tutto il mondo è stata data una grande notizia: Il Signore Gesù è risorto! Non è una novità, potrà dire qualcuno. Ed è vero: sono più di diciannove secoli che viene annunciata. Mentre però tutte le altre «novità» si sono disseccate come le foglie in autunno, questa emoziona ancora i nostri cuori: è sempre fresca e giovane, più fresca e più giovane delle molte notizie inutili di cui è pieno anche il giornale di questa mattina.Cerchiamo di capire bene che cosa è capitato.Il mondo, creato bello e buono da Dio, si è guastato: adesso noi viviamo in un mondo, come dice san Paolo nella lettera ai Romani, senza senno, senza lealtà, senza amore, senza misericordia (Rm 1,31). Mai come ai nostri tempi questo duro giudizio ci pare colpire nel segno. I contestatori e i rivoluzionari di ogni epoca non fanno una grande scoperta quando ci dicono che è un mondo sbagliato; e quando decidono di distruggerlo non sono privi di logica; desiderano solo una cosa inutile, perché questo mondo nel disegno di Dio è già destinato alla distruzione, come una casaccia lurida e diroccata è destinata alla demolizione nel piano regolatore. Ma non devono distruggerlo gli uomini:quando lo fanno, nasce regolarmente un mondo più brutto e più ingiusto di prima. Il mondo aspetta l'ora del Signore, quando, come scrive san Pietro, i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno e ci saranno nuovi cieli e nuova terra, dove finalmente abiterà la giustizia (cf. 2 Pt 3,12-13). Ma noi, che ne sarà di noi? Ci potremo salvare?
Sì, ci possiamo salvare perché Dio ha mandato nel mondo il Figlio suo, nato da donna, come noi, nato schiavo, come noi, il quale ci ha liberato e ci ha dato la possibilità di diventare figli di Dio.Che cosa dunque è avvenuto venti secoli fa di tanto importante, che noi lo ricordiamo ancora oggi come qualcosa che ci tocca da vicino? Gesù ce lo ha detto con parole semplici ed essenziali, che l'evangelista Giovanni riferisce nei discorsi dell'ultima cena:lo sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio il mondo e torno al Padre (Gv 16,28).La Pasqua è questa «avventura» terrestre del Figlio di Dio, che discese dal cielo, in questo mondo ingiusto e polveroso, e con la sua morte e la sua risurrezione tornò in cielo, portandosi con sé quelli che credono in lui. Allora si capisce come si deve fare per salvarci dalla distruzione che toccherà al mondo (e che per ciascuno di noi, in pratica, coinciderà col momento della nostra morte): ci si deve aggrappare a Cristo che passa da questo mondo al Padre. Questa è la Pasqua, che significa appunto «passaggio».Allora si capisce perché noi oggi siamo contenti e questa è la più grande festa cristiana: è la gioia di chi stava per annegare e si vede gettare una corda alla quale potrà finalmente attaccarsi.
Ma come si fa ad aggrapparsi a Gesù che risorge da morte e sale al cielo, in modo da poter salire con lui, e non essere travolti nella rovina del mondo?Gesù ci risponde: prima di tutto, pentitevi; cioè, riconoscete i vostri torti e decidete di cambiare.Chiamate i vostri vizi col loro nome e non mascherateli agli occhi vostri e degli altri indicandoli con le parole della virtù.Se siete pigri, non chiamatevi prudenti; dite: io sono pigro e devo cambiare.Se non sapete dominare i vostri istinti, non parlate di amore e di forza virile, parlate di lussuria e riconquistate la vostra capacità di arrossire.Se siete superbi, non dite di avere il senso della vostra dignità: riconoscete di essere egoisti e orgogliosi, e cercate di umiliarvi.Non chiamate conquista civile l'incapacità di conservare il patto nuziale o la disinvoltura nell'uccidere a spese dello Stato la vita umana indifesa e innocente. Cominciate ad adoperare i nomi giusti, e così vi avvicinerete alla salvezza.Così ci parla il nostro Signore e Maestro, con la franchezza di chi ci vuoi bene davvero e davvero desidera che abbiamo a crescere e a vivere.Certo l'autentico pentimento è un fatto raro. Un uomo che riconosca i suoi torti è la cosa più grande e difficile che si dia al mondo.È difficile: un uomo non s'infuria tanto con la propria moglie, come quando gli ha fatto un'osservazione giusta e meritata.Ma è la cosa più grande: è la stessa risurrezione di Gesù che arriva fino all'anima nostra e ci fa passare con lui dalla morte alla vita.Ma non basta pentirsi; se vogliamo aggrapparci a Gesù che risorge e sale al cielo, dobbiamo unirci a lui nel sacramento dell'Eucaristia.Per questo la Chiesa dispone che tutti i cristiani, proprio in questi giorni pasquali, facciano la comunione; per questo «fare Pasqua" significa nel linguaggio tradizionale accostarsi alla mensa eucaristica. Perché soltanto in questo modo noi siamo sicuri di essere uniti a colui che è la nostra salvezza e resterà la nostra unica speranza quando nessuna speranza umana ci sarà più per noi.Se riconosciamo i nostri torti in faccia Dio e alla sua Chiesa nel sacramento della penitenza e se ci accostiamo al sacramento dell'eucaristia, allora l'annuncio della vittoria di Cristo sarà anche l'annuncio della nostra vittoria.E la grande notizia, risonata stanotte in tutte le chiese, sarà nella nostra coscienza completata così: «Il Signore Gesù è risorto, e io sono risorto con lui!».

Non mi toccare!
Non rimanere ad una fede infantile, ma sforzati di raggiungere una fede più matura.
1. Maria Maddalena era andata a dire ai discepoli Pietro e Giovanni che il Signore era stato tolto dal sepolcro. Recatisi al sepolcro, essi avevano trovato soltanto le bende con le quali era stato avvolto il corpo di Gesù; e che altro essi poterono credere se non quanto Maria aveva detto ed essa stessa aveva creduto? I discepoli poi rientrarono a casa; cioè tornarono dove abitavano e da dove erano corsi al sepolcro. Maria invece si fermò vicino al sepolcro, fuori, in pianto. Tornati via gli uomini, il sesso più debole rimase legato a quel luogo da un affetto più forte. Gli occhi che avevano cercato il Signore e non lo avevano trovato, si empirono di lacrime, dolenti più per il fatto che il Signore era stato portato via dal sepolcro, che per essere stato ucciso sulla croce, perché ora di un tal maestro, la cui vita era stata loro sottratta, non rimaneva neppure la memoria. Era il dolore che teneva la donna avvinta al sepolcro. E mentre piangeva, si chinò e guardò dentro al sepolcro. Non so perché abbia fatto questo. Sapeva infatti che non c'era più quello che cercava, in quanto essa stessa era andata ad informare i discepoli che era stato portato via; ed essi erano venuti e, non solo guardando, ma anche entrando avevano cercato il corpo del Signore e non lo avevano trovato. Che cosa cerca dunque piangendo Maria Maddalena, chinandosi per guardare di nuovo nel sepolcro? Forse il troppo dolore le impediva di credere ai suoi occhi e a quelli degli altri? O non fu piuttosto una ispirazione divina che la spinse a guardare di nuovo? Essa dunque guardò, e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno al capo e l'altro ai piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Perché uno sedeva al capo e l'altro ai piedi? Forse, dato che angeli vuol dire messaggeri, volevano indicare, in questo modo, che il Vangelo di Cristo deve essere annunziato come da capo a piedi, dal principio alla fine? Ed essi le dicono: Donna, perché piangi? Risponde loro: Perché hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno deposto (Gv 20, 10-13). Gli angeli non volevano che piangesse; e in questo modo, che altro annunziavano se non il gaudio futuro? Dicendo: Perché piangi?, era infatti come se volessero dire: Non piangere! Ma essa spiega il motivo delle sue lacrime, credendo che quelli non lo conoscessero. Hanno portato via - risponde - il mio Signore. Chiama suo Signore il corpo esanime del suo Signore, richiamandosi a tutto per indicare una parte, così come noi tutti confessiamo che Gesù Cristo unigenito di Dio e nostro Signore, che è Verbo e anima e corpo, fu crocifisso e fu sepolto, sebbene sia stato sepolto soltanto il suo corpo. E non so dove l'hanno deposto. Era questo per lei il motivo più grande di dolore: il non saper dove trovare conforto al suo dolore. Ma ormai era venuta l'ora in cui il pianto si sarebbe tramutato in gaudio, come in qualche modo le avevano annunziato gli angeli, dicendole di non piangere.

[La Chiesa proveniente dalle genti.]
2. Finalmente, detto questo si volta indietro e vede Gesù in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le dice Gesù: Donna, perché piangi? Chi cerchi? Ella, pensando che fosse il giardiniere, gli dice: Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai deposto ed io andrò a prenderlo. Gesù le dice: Maria! Voltandosi essa gli dice: Rabboni! che significa Maestro (Gv 20, 14-16). Non si rimproveri la donna per aver chiamato signore il giardiniere, e Maestro Gesù. Nel primo caso chiede un favore, nel secondo caso riconosce una persona; nel primo caso si mostra gentile con un uomo al quale chiede un favore; nel secondo caso esprime la sua devozione al Maestro che le ha insegnato a discernere le cose umane e quelle divine. Chiama signore uno di cui non è serva, intendendo arrivare, per suo mezzo, a colui che è veramente il suo Signore. Dicendo: Hanno portato via il mio Signore, usa il termine Signore in senso diverso da quello che usa quando dice: Signore, se l'hai portato via tu. Anche i profeti chiamavano signori quelli che erano soltanto degli uomini; ma ben altro era il senso che essi davano a questo termine quando dicevano: Signore è il suo nome (Sal 67, 5). Ma perché questa donna, che già si era voltata per guardare Gesù quando credeva che egli fosse il giardiniere e per parlare con lui, di nuovo, secondo il racconto dell'evangelista, si volta indietro per dirgli: Rabboni? Non è perché prima si era voltata soltanto col corpo e quindi lo aveva preso per quel che non era, mentre dopo si volta col cuore, e lo riconosce qual è in realtà?

3. Le dice Gesù: Non mi toccare, perché non sono ancora asceso al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Ascendo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro (Gv 20, 17). C'è in queste parole qualcosa che dobbiamo considerare, sia pur brevemente, con molta attenzione. Sì perché, con questa risposta, Gesù voleva insegnare la fede a quella donna che lo aveva riconosciuto e chiamato Maestro: voleva, da buon giardiniere, seminare nel cuore di lei, come in un campo, il granello di senape. Ma perché le dice: Non mi toccare e, quasi adducendo il motivo di questa proibizione, aggiunge: perché non sono ancora asceso al Padre? Che vuol dire? Se non lo si può toccare mentre sta ancora in terra, come sarà possibile quando egli sarà assiso in cielo? E, del resto, prima di ascendere al cielo, egli stesso invitò i suoi discepoli a toccarlo, come attesta l'evangelista Luca: Toccatemi e constatate: uno spirito non ha carne ed ossa, come vedete che ho io (Lc 24, 39), o quando disse al discepolo Tommaso: Poni qui il tuo dito, e vedi le mie mani; porgi la tua mano, e mettila sul mio costato (Gv 20, 27). Chi potrebbe poi essere tanto assurdo da sostenere che il Signore volle, sì, essere toccato dai discepoli prima di ascendere al Padre, ma non volle essere toccato dalle donne se non dopo essere asceso al Padre? Per quanto uno faccia, non riuscirà a provare simile cosa. Si legge infatti nel Vangelo che anche le donne, dopo la risurrezione, prima che egli ascendesse al Padre, toccarono Gesù, e tra queste donne era la stessa Maria Maddalena. E' Matteo che lo racconta: Ed ecco che Gesù venne loro incontro dicendo: Salute! Esse si avvicinarono, gli strinsero i piedi e si prostrarono dinanzi a lui (Mt 28, 9). Questo episodio è stato omesso da Giovanni, ma è attestato da Matteo. Non ci resta che ammettere che si nasconde qui un mistero; lo si scopra o no, è sicuro che c'è. Penso quindi che il Signore abbia detto a Maria Maddalena: Non mi toccare, perché non sono ancora asceso al Padre, o perché in quella donna era raffigurata la Chiesa proveniente dai gentili, che non credette in Cristo se non dopo che egli era asceso al Padre; o perché voleva che si credesse in lui, cioè che lo si toccasse spiritualmente, convinti che egli e il Padre sono una cosa sola. Di uno che ha progredito nella fede si può dire che nell'intimo del suo spirito egli è asceso al Padre, in quanto è giunto a riconoscere che il Figlio è uguale al Padre. Chi invece non è ancora arrivato a questo, non lo tocca in modo autentico, in quanto non crede in lui come dovrebbe. Maria forse credeva in lui, ritenendo tuttavia che egli non fosse uguale al Padre, e per questo egli la richiama dicendole: Non mi toccare, cioè non credere in me secondo l'idea che ancora hai di me; non limitarti a fermare la tua attenzione su ciò che io sono diventato per te, trascurando la mia natura divina per mezzo di cui tu sei stata fatta. Come si può dire che ella non era più attaccata a lui sensibilmente se ancora lo piangeva come fosse stato soltanto un uomo? Non sono ancora asceso - dice - al Padre mio: allora veramente mi toccherai quando avrai creduto che, come Dio, io non sono inferiore al Padre. Ma va' dai miei fratelli e di' loro: Ascendo al Padre mio e Padre vostro. Non dice: Ascendo al Padre nostro, volendo far notare che è suo Padre in un senso e nostro in un altro: suo per natura, nostro per grazia. Dio mio e Dio vostro. Anche qui non dice: Dio nostro, perché anche in questo caso Dio è mio in un senso e vostro in un altro: è Dio mio perché come uomo io sono soggetto a lui, è Dio vostro per cui io sono mediatore tra voi e lui.

4. Maria Maddalena va ad annunziare ai discepoli: Ho visto il Signore, e mi ha detto queste cose. La sera di quello stesso giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, per paura dei Giudei, venne Gesù e si fermò in mezzo e disse loro: Pace a voi! E detto questo, mostrò le mani e il costato. I chiodi avevano trafitto le sue mani, la lancia gli aveva aperto il costato, ed erano rimaste le tracce delle ferite per guarire il cuore dei dubbiosi. E le porte chiuse non impedirono l'entrata di quel corpo in cui abitava la divinità. Colui che nascendo aveva lasciato intatta la verginità della madre, poté entrare nel cenacolo a porte chiuse. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. E Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi (Gv 20, 18-21)! Rinnovando il saluto conferma il suo dono: cioè egli dona pace su pace, come era stato promesso per mezzo del profeta (Is 26, 3). Come il Padre ha mandato me, - aggiunge - così io mando voi. Già sapevamo che il Figlio è uguale al Padre; ma qui noi riconosciamo le parole del mediatore. Egli si presenta, infatti, come mediatore, in quanto dice: Egli ha mandato me e io mando voi. E detto questo, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo. Alitando su di loro, vuol significare che lo Spirito Santo non è soltanto del Padre, ma anche suo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi li riterrete saranno ritenuti (Gv 20, 21-23). La carità, che per mezzo dello Spirito Santo viene riversata nei nostri cuori, rimette i peccati di coloro che fanno parte della comunità ecclesiale; ritiene invece i peccati di coloro che non ne fanno parte. E' per questo che conferì il potere di rimettere o di ritenere i peccati subito dopo aver detto: Ricevete lo Spirito Santo.

5. Tommaso, uno dei dodici, detto Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: Abbiamo veduto il Signore! Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il foro dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non credo. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa, e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, e si fermò nel mezzo, e disse: Pace a Voi! Poi dice a Tommaso: Poni qui il tuo dito, e vedi le mie mani; e porgi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere incredulo ma credente! Gli rispose Tommaso: Signore mio e Dio mio! Vedeva e toccava l'uomo, ma confessava Dio che non vedeva né toccava. Attraverso ciò che vedeva e toccava, rimosso ormai ogni dubbio, credette in ciò che non vedeva. Gesù gli dice: Hai creduto, perché mi hai veduto. Non gli dice: perché mi hai toccato, ma perché mi hai veduto; poiché la vista è come un senso che riassume tutti gli altri. Infatti nominando la vista siamo soliti intendere anche gli altri quattro sensi, come quando diciamo: Ascolta e vedi che soave melodia, aspira e vedi che buon odore, gusta e vedi che buon sapore, tocca e vedi come è caldo. Sempre si dice "vedi", anche se vedere è proprio degli occhi. E' così che il Signore stesso dice a Tommaso: Poni qui il tuo dito e vedi le mie mani. Gli dice: Tocca e vedi, anche se Tommaso non aveva certo gli occhi nelle dita. Dicendo: Hai creduto perché hai veduto, il Signore si riferisce sia al vedere che al toccare. Si potrebbe anche dire che il discepolo non osò toccarlo, sebbene il Signore lo invitasse a farlo. L'evangelista infatti non dice che Tommaso lo abbia toccato. Sia che lo abbia soltanto guardato, sia che lo abbia anche toccato, ha creduto perché ha veduto; e perciò il Signore esalta e loda, a preferenza, la fede dei popoli, dicendo: Beati quelli che pur non vedendo, avranno creduto! (Gv 20, 24-29). Usa il tempo passato, in quanto egli considera, nella predestinazione, come già avvenuto ciò che sarebbe avvenuto nel futuro. Ma questo discorso si è già prolungato abbastanza; il Signore ci concederà di commentare il seguito in altra occasione.

L'apparizione del Risorto sul lago di Tiberiade.
La pesca miracolosa adombra il mistero della Chiesa, quale sarà dopo la risurrezione dei morti.
1. Dopo averci raccontato come il discepolo Tommaso, attraverso le cicatrici delle ferite che Cristo gli offrì da toccare nella sua carne, vide ciò che non voleva credere e credette, l'evangelista Giovanni inserisce questa osservazione: Molti altri prodigi fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi invece sono stati scritti, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il figlio di Dio e, credendo, abbiate vita nel suo nome (Gv 20, 30-31). Questa è come l'annotazione conclusiva di questo libro; tuttavia si narra ancora come il Signore si manifestò presso il mare di Tiberiade, e come nella pesca adombrò il mistero della Chiesa quale sarà nella futura risurrezione dei morti. Credo che sia per sottolineare maggiormente questo mistero che Giovanni pose le parole succitate come a conclusione del libro, in quanto servono anche di introduzione alla successiva narrazione, alla quale, in questo modo, dà maggiore risalto. Così comincia la narrazione: Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade; e si manifestò così. Si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, e i figli di Zebedeo e altri due dei suoi discepoli. Dice loro Simon Pietro: Io vado a pescare. Gli rispondono: Veniamo anche noi con te (Gv 21, 1-3).
2. Si è soliti chiedersi, a proposito di questa pesca dei discepoli, perché Pietro e i figli di Zebedeo siano tornati all'occupazione che avevano prima che il Signore disse loro: Seguitemi e vi farò pescatori di uomini (Mt 4, 19). Allora essi lo seguirono, lasciando tutto, per diventare suoi discepoli. Al punto che, quando quel giovane, al quale aveva detto: Va', vendi ciò che possiedi e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi, si allontanò triste, Pietro poté dirgli: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito (Mt 19, 21-22 27).

Perché, dunque, essi ora lasciano l'apostolato e ritornano a essere ciò che erano prima tornando a fare ciò cui avevano rinunciato, quasi non tenendo conto dell'ammonimento che avevano ascoltato dalle labbra del Maestro: Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno dei cieli (Lc 9, 62)? Se gli Apostoli avessero fatto questo dopo la morte di Gesù e prima della sua risurrezione, potremmo pensare che essi fossero stati spinti a ciò dallo scoraggiamento che si era impadronito del loro animo. Del resto essi non avrebbero potuto tornare a pescare il giorno in cui Gesù fu crocifisso, perché in quel giorno rimasero totalmente impegnati fino al momento della sepoltura, che avvenne sul far della sera; il giorno seguente era sabato e, secondo la tradizione dei padri, dovevano osservare il riposo; e finalmente nel terzo giorno, il Signore risorto riaccese in loro la speranza che avevano cominciato a perdere.

Ora però, dopo che lo hanno riavuto vivo dal sepolcro, dopo che egli ha offerto ai loro occhi e alle loro mani la realtà evidente della sua carne rediviva, che essi non solo hanno potuto vedere ma anche toccare e palpare; dopo che essi hanno guardato i segni delle sue ferite, e dopo che perfino l'apostolo Tommaso, che aveva detto che non avrebbe creduto se non avesse veduto e toccato, anch'egli ha confessato; dopo che hanno ricevuto lo Spirito Santo, da lui alitato su di essi, e hanno ascoltato le parole: Come il Padre ha mandato me, così io mando voi; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi li riterrete saranno ritenuti (Gv 20, 21 23), essi tornano a fare i pescatori, non di uomini ma di pesci.
3. A quanti dunque rimangono perplessi di fronte a questo fatto, si può fare osservare che non era affatto proibito agli Apostoli procurarsi di che vivere con il loro mestiere onesto, legittimo e compatibile con l'impegno apostolico, qualora non avessero avuto altra possibilità per vivere. Nessuno, certo, vorrà pensare o dire che l'apostolo Paolo era meno perfetto di coloro che avevano seguito Cristo lasciando tutto, per il fatto che egli, per non essere di aggravio a quelli che evangelizzava, si guadagnava da vivere con il lavoro delle sue mani (cf. 2 Thess 3, 8). Anzi, proprio in questo si nota la verità di quanto asseriva: Ho lavorato più di tutti costoro. E aggiungeva: non già io, bensì la grazia di Dio con me (1 Cor 15, 10), affinché risultasse evidente che doveva alla grazia di Dio se aveva potuto lavorare più degli altri spiritualmente e materialmente, predicando il Vangelo senza sosta. Egli tuttavia, a differenza degli altri, non si servì del Vangelo per vivere, mentre lo andava seminando più largamente e con più frutto attraverso tante popolazioni in mezzo alle quali il nome di Cristo non era stato ancora annunziato; dimostrando così che vivere del Vangelo, cioè trarre sostentamento dalla predicazione, non era per gli Apostoli un obbligo ma una facoltà. E' di questa facoltà che parla l'Apostolo quando dice: Se abbiamo seminato in voi beni spirituali, è forse una cosa straordinaria se mietiamo i vostri beni materiali? Se altri si valgono di questo potere su di voi, quanto maggiormente non lo potremmo noi? Ma noi - aggiunge - non abbiamo fatto uso di questo potere.

E poco più avanti: Quelli che servono all'altare - dice - partecipano dell'altare. Alla stessa maniera anche il Signore ordinò a quelli che annunziano il Vangelo di vivere del Vangelo; quanto a me non ho usato alcuno di questi diritti (1 Cor 9, 11-15). Risulta dunque abbastanza chiaro che il vivere unicamente del Vangelo e mietere beni materiali in compenso dei beni spirituali che seminavano annunziando il Vangelo, era per gli Apostoli non un precetto ma una facoltà: cioè essi potevano accettare il sostentamento materiale e, quali soldati di Cristo, ricevere dai Cristiani il dovuto stipendio, come i soldati lo ricevevano dai Governatori delle province. E' a questo proposito che il medesimo generoso soldato di Cristo poco prima aveva detto: Chi mai si arruola a proprie spese? (1 Cor 9, 7). Tuttavia, proprio questo egli faceva, e perciò lavorava più di tutti gli altri. Se dunque il beato Paolo non volendo usare del diritto che aveva in comune con gli altri predicatori del Vangelo, e volendo militare a sue spese, onde evitare presso i non credenti in Cristo qualsiasi sospetto che il suo insegnamento fosse interessato, imparò un mestiere non confacente alla sua educazione, per potersi guadagnare il pane con le sue mani e non esser di peso a nessuno dei suoi ascoltatori; perché dobbiamo meravigliarci se il beato Pietro, che già era stato pescatore, tornò al suo lavoro, non avendo per il momento altra possibilità per vivere?
4. Ma qualcuno osserverà: E come mai non aveva altra possibilità per vivere, se il Signore aveva promesso: Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saran date in più (Mt 6, 33)? Questo episodio sta a dimostrare che il Signore mantiene la sua promessa. Chi altri infatti fece affluire i pesci nella rete perché fossero presi? E' da credere che non per altro motivo li ridusse al bisogno, costringendoli a tornare alla pesca, se non perché voleva che fossero testimoni del miracolo che aveva predisposto per sfamare i predicatori del suo Vangelo, mentre mediante il misterioso significato del numero dei pesci, si proponeva di far crescere il prestigio del Vangelo stesso. E a proposito, vediamo ora che cosa il Signore ha riservato a noi.
5. Dice Simon Pietro: Io vado a pescare. Gli rispondono - quelli che erano con lui -: Veniamo anche noi con te. Uscirono, e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla. Era ormai l'alba quando Gesù si presentò sulla riva; i discepoli tuttavia non si erano accorti che era Gesù. E Gesù disse loro: Figlioli, non avete qualcosa da mangiare? Gli risposero: No. Ed egli disse loro: Gettate la rete a destra della barca, e ne troverete. La gettarono, e non potevano più tirarla per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: E' il Signore! Simon Pietro all'udire "è il Signore!" si cinse la veste, poiché era nudo, e si buttò in mare. Gli altri discepoli vennero con la barca, perché non erano lontani da terra se non duecento cubiti circa, tirando la rete con i pesci. Appena messo piede a terra, videro della brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: Portate dei pesci che avete preso adesso. Allora Simon Pietro salì nella barca, e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si strappò (Gv 21, 3-11).
6. E' un grande mistero questo, nel grande Vangelo di Giovanni; e, per metterlo maggiormente in risalto, l'evangelista lo ha collocato alla conclusione. Siccome erano sette i discepoli che presero parte a questa pesca: Pietro, Tommaso, Natanaele, i due figli di Zebedeo e altri due di cui si tace il nome; mediante il numero sette stanno ad indicare la fine del tempo. Sì, perché tutto il tempo si svolge in sette giorni. A questo si riferisce il fatto che sul far del giorno Gesù si presentò sulla riva: la riva segna la fine del mare, e rappresenta perciò la fine del tempo, la quale è rappresentata anche dal fatto che Pietro trasse la rete a terra, cioè sulla riva. Il Signore stesso, quando espose una parabola della rete gettata in mare, dette questa spiegazione: Una volta piena - disse - i pescatori l'hanno tirata a riva. E spiegò che cosa fosse la riva, dicendo: Così sarà alla fine del mondo (Mt 13, 48-49). (vedi mappa sito)
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