Filioque Credo Ortodossi Cattolici divisione
Catechesi seconda parte
FILIOQUE E LO SCISMA TRA CATTOLICI E ORTODOSSI
Il Filioque, come sappiamo, è la famosa aggiunta al Credo
che fu introdotta nella Chiesa Latina attorno ai secc. IX-X per
iniziativa dei Franchi e dei Germani e che fu poi accolta dalla Chiesa
di Roma, e da questa poi imposta a tutta la Chiesa universale, tanto che
ancor oggi questa espressione è presente nel Simbolo della fede. Essa
significa che lo Spirito Santo non procede solo dal Padre, ma anche dal
Figlio (Filioque).
Su questo punto fondamentale della fede trinitaria, dopo lo scisma del sec. XI sino a tutt’oggi esiste purtroppo una reciproca accusa di eresia tra la Chiesa LatinaCattolica) e quella Greca (ortodossa). I Latini accusano di eresia la negazione del Filioque; i Greci accusano di aggiunta eretica l’introduzione del Filioque.
Su questo punto fondamentale della fede trinitaria, dopo lo scisma del sec. XI sino a tutt’oggi esiste purtroppo una reciproca accusa di eresia tra la Chiesa LatinaCattolica) e quella Greca (ortodossa). I Latini accusano di eresia la negazione del Filioque; i Greci accusano di aggiunta eretica l’introduzione del Filioque.
Sino al secolo dello scisma, volendo porre la famosa fatidica data
del 1054, i fratelli orientali erano uniti a Roma su quel punto
delicatissimo della fede cristiana, ma esso non figurava nel Credo. La
ribellione a Roma avvenne allorchè Roma decise di introdurre la formula
nel Credo. Sorsero infatti le proteste di Costantinopoli che Roma
avrebbe aggiunto al Simbolo della fede una novità arbitraria. Fu
certamente, questo, un fatto sorprendente, considerando che fino ad
allora tutta la cristianità aveva accolto quel dato di fede.
Ma la storia ogni tanto riserva delle amare e misteriose sorprese.
Nel sec. XIV il teologo dissidente Gregorio Palamas, poi canonizzato da
Costantinopoli, fece addirittura un trattato contro il Filioque
con una gran quantità di intricati argomenti, che favorirono
l’espressione “bizantinismo” per significare le sottigliezze che
finiscono per confondere anziché far chiarezza.
Inutilmente i teologi romani spiegarono che Roma, del resto in
conformità a un dato che era già tradizionalmente di fede, non aveva
fatto altro che spiegare o esplicitare solennemente una verità già
contenuta nella Rivelazione, come del resto i Concili avevano già fatto
nel passato per altri articoli di fede: si pensi per esempio alla più
ampia esposizione dei dati di fede contenuta nel Simbolo
Niceno-Costantinopolitano rispetto al precedente Simbolo degli Apostoli.
In questo increscioso episodio, a tutt’oggi ancora irrisolto, si ha
l’impressione che Costantinopoli cercasse un pretesto per staccarsi da
Roma.
Indubbiamente al tempi del Concilio Vaticano II e dell’ecumenismo
avviatosi con gli Ortodossi ci fu un effettivo avvicinamento tra le due
Chiese. Sappiamo infatti come Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora si
tolsero reciprocamente la scomunica e ciò fu certamente un fatto
altamente positivo, ma solo sul piano delle relazioni umane, senz’alcun
riferimento alla questione dottrinale. Infatti questo è un caso, per la
verità eccezionale, nel quale due Chiese si sono in qualche modo
rappacificate senza che ciò abbia comportato la soluzione del problema
dogmatico.
Il che vuol dire che la Chiesadi Costantinopoli, benché oggi animata
da sentimenti di carità verso Roma, non è oggettivamente tornata in
piena comunione dottrinale con Roma e certo sorprende come ancor oggi
gli Ortodossi non riconoscano la verità del Filioque,
nonostante gli innumerevoli inviti provenienti da Roma e da tutti i
teologi cattolici, a cominciare dal grande S.Tommaso d’Aquino, del quale
si ricordò il Concilio di Firenze del 1439-1442, allorchè per un vero
miracolo della grazia, purtroppo durato poco, riuscì a ripristinare la
comunione dei Greci con Roma. La soppressione delle reciproche
scomuniche non deve pertanto portarci a minimizzare o relativizzare il
persistere del contrato dottrinale.
Come spiega bene infatti S.Tommaso nella Somma Teologica (I,
q.36, a.2) il difetto dei Greci sta nel non capire che negando che lo
Spirito Santo procede anche dal Figlio, non è più possibile distinguere l’Uno dall’Altro
secondo l’insegnamento della divina Rivelazione così come risulta dalle
parole stesse di Cristo, che appunto ci ha rivelato il Mistero
Trinitario.
Infatti noi non abbiamo altra possibilità di distinguere tra di loro le Persone divine che facendo riferimento alla loro origine.
Anche questo è il segno che dobbiamo concepire la Persona divina in un
modo molto diverso da quello con cui concepiamo la persona umana.
Infattila Persona divina non è creata come lo è la nostra persona umana –
cosa che comporta diversità individuali tra persona e persona -,
altrimenti non sarebbe più divina, ma emana o procede o ha origine da
un’Altra nell’uguaglianza, anzi identità della natura divina, così come
del Figlio nel Credo diciamo “Deum de Deo”, non nel senso di un dio che
proceda da un altro dio, come nel paganesimo, ma in quanto il Figlio che
procede dal Padre è Dio come lo è il Padre.
Naturalmente gli Ortodossi hanno usano anche loro un criterio per
distinguere. Essi però si basano solo su elementi certamente veri ma
insufficienti, perché si tratta di semplici appropriazioni ovvero attribuzioni aggiunte e derivate, non di elementi originari, pertinenti e propri.
Quelle attribuzioni invece sono solo generiche e secondarie, non
fondate direttamente sull’essenza delle persone, ma soltanto su qualità
relative agli attributi divini generici, il che non è per nulla
sufficiente a determinare la distinzione tra le Persone secondo quanto
risulta dalla Rivelazione.
Infatti tutte e tre le Persone sono Dio. Se noi per distinguerle
facciamo leva solo sugli attributi della divinità, è evidente che la
distinzione non regge o quanto meno non è sufficiente. Sarebbe come se
volessimo distinguere Socrate e Platone sulla base della distinzione tra
l’intelletto e la volontà, che invece sono proprietà che essi
posseggono allo stesso modo o al massimo con sfumature diverse in quanto
proprietà della loro comune natura umana.
Infatti gli Ortodossi distinguono il Figlio dallo Spirito collegando rispettivamente il primo al Pensiero o alla Verità (Logos)
e il secondo alla Volontà o all’Amore, visione non certo sbagliata anzi
importante ed utile per la vita spirituale, ma alla quale sfugge ciò
che è il vero, caratteristico ed irrinunciabile principio della
distinzione tra Figlio e Spirito Santo, e si limitano a semplici
attributi divini che sono propri del Dio Uno e comuni in fondo al Figlio
e allo Spirito, giacchè è evidente che anche il Figlio come Dio ama
(“Dio è Amore”), ed è altrettanto evidente che lo Spirito come Dio è lo
Spirito della Verità. Ma allora dov’è la distinzione?
Il criterio per la distinzione tra le divine Persone non può essere
quello tra individui nella medesima specie come se Dio fosse una specie,
sotto la quale le persone sono individui diversi tra di loro per il
fatto che l’uno accentua più un carattere della specie e l’altro ne
accentua un altro, come in Leopardi emerge la poesia mentre in Einstein
la scienza, ma qui si tratta sempre di qualità della medesima natura
umana.
Per questo nella visione ortodossa è compromessa l’unità dell’essenza
divina che sembra ridursi ad un’astratta e inconcepibile essenza
specifica, mentre la concretezza è riservata solo alle Persone, sicchè
alla fine si rischia il triteismo, un avanzo del politeismo pagano.
Viceversala Chiesadi Roma è più attenta ai concetti che sono espressi
implicitamente o esplicitamente da Cristo stesso, nel rivelarci il
mistero della distinzione delle divine Persone.
Innanzitutto è vero che il termine “persona” non è usato da Cristo.
Ma questo non significa nulla: è evidente che quando Cristo parla di sé
Come “Figlio” o parla di un Dio “Padre” o di uno “Spirito” che guida
alla “verità tutta intera”, vivifica, purifica, governa, santifica e
perfeziona il cristiano e la Chiesa, cose che appaiono più evidenti
nella spiritualità e nell’ecclesiologia di S.Paolo, Cristo si riferisce a
entità personali, assimilabili, anche se con profondissime differenze, a ciò che per noi è la persona, soggetto pensante e volente.
Una differenza notevole tra il concetto di persona umana e quello di
Persona divina, è che mentre nella prima la relazione è un accidente che
si aggiunge alla persona, nella Persona divina la relazione costituisce la
stessa Persona, per cui la Persona divina è una relazione sussistente:
in essa l’essere si identifica con l’agire. Così, per esempio, nel caso
dell’uomo, noi diciamo che il tale ha una relazione, mentre per quanto riguarda la Persona divina diciamo che Essa è una relazione. L’avere esprime l’accidente, l’essere esprime la sostanza o la sussistenza.
Il fatto di essere padre, nella persona umana, si aggiunge
estrinsecamente alla persona stessa, la quale era persona anche prima di
essere padre e continuerà ad essere persona anche dopo che il figlio
fosse eventualmente morto. Viceversa, la paternità divina non si
aggiunge in Dio all’essere divino o alla Persona divina, ma Li
costituisce.
Dio non è divenuto Padre, ma è Padre per essenza e dall’eternità. Il Figlio non è nato nel tempo, ma ante omnia saecula,
ossia dall’eternità, appunto perché è Dio. Il mondo è sorto per
creazione quando Dio esisteva già da solo dall’eternità, ma non c’è mai
stato un “prima divino” nel quale Dio non fosse Padre, Figlio e Spirito
Santo. Sarebbe come ipotizzare un uomo il quale diventasse animale
razionale un certo tempo dopo essere stato concepito. Non ha senso,
perchè l’uomo è animale razionale per essenza e apriori. O c’è l’uomo, e
allora c’è l’animal rationale. O non c’è l’animal rationale e allora non c’è l’uomo.
Quanto al problema della distinzione tra di loro delle Persone
divine, come risulta dall’insegnamento di Cristo, Esse si distinguono
secondo un’opposizione non assoluta ma relativa: relations oppositio,
come dice il Concilio di Firenze. L’opposizione non è assoluta nel
senso che non tratta di diversità tra individui ed inoltre essa non è da
intendere nel senso di contrasto ma nel senso appunto di semplice
relazione o legame, che non dice alcun contrasto ma perfetta armonia e
convenienza, anzi di uguaglianza nella divinità.
Tuttavia non si tratta di una relazione di affinità, di somiglianza o
di reciprocità, tanto meno di diversità, come avviene tra gli individui
di una specie o tra enti sostanziali diversi, ma di una relazione di
origine, fondata sulle processioni divine; il Figlio procede dal Padre
per generazione, lo Spirito procede per spirazione. Il Figlio è sì
Immagine del Padre, ma Immagine perfettamente uguale al Modello. Noi
invece in Cristo possiamo essere immagine di Cristo e del Padre
semplicemente partecipata.
Siccome poi il Padre è comune origine delle altre due Persone ed esse
si distinguono solo per l’origine, bisogna necessariamente ammettere
che una delle due ha origine dall’altra. E ciò è appunto testimoniato
dalle stesse parole di Cristo, il Quale, al momento di promettere la
missione dello Spirito Santo, fa riferimento ad Esso affermando
“prenderà del mio” (Gv 16,14).
Per comprendere la portata del Filioque, occorrono dunque
concetti metafisici di non facile intendimento e che effettivamente non
sono alla portata di tutti, per cui il comune fedele, anche se non può
seguire il ragionamento che porta a mostrare la necessità del Filioque, è invitato a compiere un atto di fede nella dottrina della Chiesa.
Bisogna inoltre riconoscere che al fine di prendere a modello la SS.
Trinità per la nostra vita spirituale e di comprendere il suo influsso
nella nostra vita cristiana, è maggiormente utile considerare le
appropriazioni (Padre come Essere-Principio, Figlio come Verità, Spirito
come Amore), che non le stesse proprietà, del tutto sproporzionate alla
nostra vita personale. Sbagliano pertanto coloro che vorrebbero imitare
la vita trinitaria concependo la persona umana come relazione
(“essere-in-relazione”) col pretesto chela Personadivina è relazione
sussistente. L’unico risultato di questa ingannevole operazione è quello
di negare l’essere personale a quei soggetti umani, come per esempio
gli embrioni, i neonati o i malati mentali o terminali che non posso
mettersi in relazione con gli altri mediante l’esercizio dell’intelletto
e della volontà.
Invece la considerazione delle proprietà (relazioni di origine e quindi il Filioque)
è indispensabile per una contemplazione del Mistero trinitario conforme
alla retta fede. Su questo punto bisogna pertanto dire che gli
Ortodossi non sono purtroppo … ortodossi.
Indubbiamente è impressionante come a causa di questa formula anche
se non solo a causa di essa sia avvenuta la separazione di tante Chiese
orientali da Roma e che tale separazione duri tuttora. Alcuni ritengono
che questo contrasto tra Roma e Costantinopoli sia da ridurre a due
semplici punti di vista differenti che non toccano la dottrina della
fede. Invece purtroppo non è così:il Filioque compare nel Credo cattolico, segno che si tratta di verità di fede, per cui chi le nega è affettivamente eretico.
S.Tommaso, infatti, che è molto parco nel chiamare eretica una dottrina, qualifica come “eretica” la negazione del Filioque
e non appare per nulla che Costantinopoli accetti la posizione di Roma,
la quale mostra peraltro la sua liberalità consentendo a che nel
Simbolo di certi riti orientali anche uniti a Roma possa mancare il Filioque.
Dobbiamo infatti ricordare che i Simboli della fede non contengono
necessariamente tutte le verità di fede. Il Simbolo
Niceno-Costantinopolitano, per esempio, non contiene la discesa di
Cristo agli inferi, che pure è presente nel Simbolo degli Apostoli.
Che incidenza può avere questa questione del Filioque nel
contesto generale della dogmatica e dalla morale? A tutta prima
sembrerebbe una questione così astratta e teorica, da non presentare
alcun influsso e diciamo pure da non comportare una speciale importanza.
Come mai tanta ostinazione dei Greci, ancora dopo quasi dieci secoli, nel non accettare il Filioque?
Come è possibile che ciò avvenga in Chiese tanto antiche, tanto
illustri e ricche di alti valori e di santità? E’ un grande mistero.
Nessuno si può illudere che Roma su questo punto possa un giorno cedere.
Chi invece dovrà accogliere la verità saranno le Chiese orientali.
L’Aquinate si basa per la sua sublime interpretazione delle parole
del Signore, su Aristotele. E’ strano che i Greci, vittime qui di un
personalismo esistenzialista, non sappiano valorizzare il massimo
Esponente della sapienza greca.
L’ecumenismo con le Chiese orientali è comunque cosa molto preziosa e
provvidenziale. Esso mette giustamente in luce tanti valori in comune.
Come cattolici, dobbiamo avere fiducia che verrà un giorno, come accadde
quasi per sogno al Concilio di Firenze, che i fratelli dell’Oriente
comprenderanno la verità e allora con essi ci sarà in pienezza veramente
“un solo ovile e un solo pastore”.
fonte: libertaepersona.org