Il dono dello Spirito Santo catechesi carismi spirituali - Cristiani Cattolici: Pentecostali Apologetica Cattolica Studi biblici

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Il dono dello Spirito Santo catechesi carismi spirituali

Catechesi seconda parte

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I DONI DELLO SPIRITO SANTO
Prima parte
«SE TU CONOSCESSI IL DONO DI DIO…
»



AVVERTENZA
Prima di esaminare i singoli doni dello Spirito Santo è, non solo utile, ma necessario prepararci ad accoglierli. Di questa preparazione parliamo nei primi cinque capitoli.
A nostro avviso occorre anzitutto fare l'esperienza della seconda conversione (capitolo primo), è necessario essere evangelicamente piccoli (capitolo secondo), acconella nostra vita l'esperienza della croce e valoriz(capitolo terzo), intuire i misteri racchiusi nel midello Spirito Santo (capitolo quarto), comprendere come le virtù, per essere esercitate in modo perfetto fino a vivere le beatitudini, hanno assolutamente bisogno dei doni dello Spirito (capitolo quinto).
Siamo così disposti ad esaminare i singoli doni dello Spirito, ascendendo dal timore di Dio alla sapienza. In questo esame dei doni dello Spirito, ci siamo fresoffermati sulle virtù che i doni perfeziona ad es. la fortezza, la pietà, la fede, la speranza. Non abbiamo trattato della carità, che sarà oggetto di uno stua parte e abbiamo sempre concluso ogni dono con la beatitudine che gli corrisponde, riservandoci di trattare in un nuovo libro questo importante argomento.

I.
LA PRIMA E SECONDA CONVERSIONE


« Fossero tutti profeti!...»
Nel libro dei Numeri leggiamo che Dio prese lo spiche era in Mosè, ossia lo spirito di Dio, e lo infuse in settanta anziani, che cominciarono a profetizzare (cf. Num. 11,24-30).
Il significato principale di « profezia » è quello di parlare in nome di Dio (pro-femi: parlare al posto di qualil senso di predire il futuro, come intendiamo noi di solito, quando parliamo di profeti e profezie, nella Bibbia, è un significato secondario. I profeti parlano in nome di Dio. Mosè è un profeta. Gesù è il massimo prole sue parole sono parole del Padre. Ebbene i settananziani, riuniti presso la tenda del convegno, furono momentaneamente profeti: caddero in estasi, lodando Dio. Avvenne che anche due anziani, Eldad e Medad, rínell'accampamento, furono investiti dallo spirito di Dio e comiciarono a profetizzare.
Allora un giovane corse da Mosè a riferire il fatto. Intervenne anche il giovane Giosuè che era al servizio di Mosè e disse: « Mosè, signore mio, impediscili! » (11,28). Ma Mosè rispose, con cuore grande e senza alcuinvidia: « Sei tu geloso per me? », ossia, non è lo spirítuo che è sceso su di loro, ma lo spirito mio, che è spirito di Dio; ma se non sono geloso io, perché devi estu al posto mio? « Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito! » (11,29).
Con questa preghiera, inizio questa riflessione sullo Spirito Santo e i suoi doni, perché possiamo, per grazia, diventare tutti profeti nel popolo del Signore e, prima di tutto, nella nostra famiglia, nella nostra comunità. Il Signore doni a tutti noi l'abbondanza del suo Spi
Essere profeti, senza desiderare di essere rapiti in estasi; anzi, è meglio sottrarsi alle estasi e a tutti i fenostraordinari della mistica, come facili cause d'inma nel senso di parlare in nome di Dio, adorarlo, ringraziarlo, lodarlo; essere in stato di preghiera contiossia in continuo rapporto d'amore con Cristo, col Padre, con lo Spirito, ripieni dei suoi doni: la sapienza, l'intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà, il timore di Dio.
Dobbiamo soprattutto essere profeti con la nostra vita, agendo sotto l'influsso dei doni dello Spirito, irrai saporiti frutti dello Spirito su tutti i nostri frae sorelle: la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la benevolenza (spirito di servizio), la bontà, la fedeltà, la mitezza (sempre unita all'umiltà), il dominio di sé (o lià del cuore), perché, come dice Paolo « Se viviamo dello Spirito, camminiamo secondo lo Spirito » (Gal 5,25).
Lo Spirito ci porta a Gesù: « Quando verrà lo Spirito verità, vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annunzierà » (Gv 16,13-14).
Inoltre, tramite Gesù, giungiamo al Padre: « Io sola via, la verità e la vita. Nessuno va al Padre, se non per mezzo mio » (Gv 14,6); ma è anche vero, dice Gesù, che « Nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio » (Gv 6,65).
Andare al Padre... venire a Gesù... lasciarsi guidare dallo Spirito... è un invito alla conversione continua, alla seconda conversione.

Gli inviti alla conversione
Fra i tanti inviti che risuonano nel Nuovo Testamento alla conversione, ne ricordiamo tre in particolare. Il primo invito ci viene da Gesù. Gesù chiamò a sé un bambino e lo pose in mezzo ai suoi discepoli e disse: « In verità vi dico: se non vi convertirete e non divente come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli » (Mt 18,2-3).
Pensando alla realizzazione di questa conversione « Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai riveai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto » (Lc 10,21).
Il secondo invito ci viene da s. Paolo nella lettera agli Efesini: « Dovete deporre l'uomo vecchio con la condi prima, l'uomo che si corrompe dietro le passioni
ingannatrici (dell'egoismo) e dovete rivestire... l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera » (Ef 4,22-23).
L'uomo nuovo è Cristo Gesù, perciò più espressaPaolo dirà ai Galati: « Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo » (3,27) e ai Romani « Rivestitevi di Gesù Cristo » (13,14).
Conversione, come dice la parola latina « conver», è rovesciare il vestito e molto più del vestito, è traprogressivamente, con la potenza dello Spirito, tutta la nostra vita nella vita di Cristo, come tante volte ci ripete Paolo « Per me il vivere è Cristo » (Fil 1,21); « Cristo è la mia vita » (cf. Col 3,4); « Vivo io non più io, è Cristo che vive in me » (Gal 2,20).
Il terzo invito lo leggiamo nell'Apocalisse, nelle letscritte ai vescovi delle sette chiese dell'Asia Minore. Le ricordo in particolare, perché l'una o l'altra può essere il ritratto della nostra situazione personale. All'angelo o vescovo della chiesa di Efeso: « Ho da rimproverarti che hai abbandonato il tuo amore di prima. Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima. Se non ti ravvederai, verrò da te e rimuoò il candelabro dal suo posto » (Ap 2,4-5). All'angelo o vescovo della chiesa di Smirne: « Conola tua tribolazione, la tua povertà, tuttavia sei ricco... Non temere ciò che stai per soffrire... Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita » (Ap 2,9-10). All'angelo o vescovo della chiesa di Pergamo: « Ho da rimproverarti alcune cose (la sua debolezza nel comle eresie e la sua permissività nel tollerare alcuni compromessi con i culti pagani, la partecipazione ai bansacri ecc.). Ravvediti, altrimenti verrò presto da te e combatterò contro di loro con la spada della mia boc» (Ap 2,14.16).

All'angelo o vescovo di Tiatira: « Conosco le tue opere, la carità, la fede, il servizio e la costanza, e so che le tue ultime opere sono migliori delle prime. Ma ho da rimproverarti che lasci fare a Iezabèle, la donna che si spaccia per profetessa e insegna e seduce i miei servi... Io le ho dato tempo per ravvedersi, ma essa non si vuol ravdalla sua dissolutezza. Ebbene, io getterò lei in un letto di dolore e coloro che commettono adulterio con lei in una grande tribolazione, se non si ravvederanno dalle opere che ha loro insegnate » (Ap 2,19-20).

All'angelo o vescovo della chiesa di Sardi: « Conole tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto. Svee rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio. Ricorda dunque come hai accolto la parola, ose ravvediti, perché se non sarai vigilante, verrò come un ladro, senza che tu sappia in quale ora io verrò da te » (Ap 3,1-3).
All'angelo o vescovo della chiesa di Filadelfia: « Cole tue opere. Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto tu abbia poca forpure hai osservato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome... anch'io ti preserverò nell'ora della tentaVerrò presto. Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona » (Ap 3,8-11).

Infine all'angelo o vescovo di Laodicea: « Conosco le tue opere; tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fosfreddo o caldo! Ma poiché sei tiepido... sto per vomiTu dici; ‘Sono ricco..., non ho bisogno di nulla’, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, un cieco e nudo... Ravvediti... Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me » (Ap 3,15-20).

Ecco la conversione: ascoltare la voce di Gesù, ascoltare Gesù che batte alla porta del nostro cuore, aprirgli la porta e sedersi a banchetto con lui. Se accogliamo Gesù al banchetto della nostra vita, diventa il banchetto di Gesù e accoglieremo al banchetto della nostra vita tutti, specialé i più piccoli, i più poveri, i bisognosi nel corpo e i miserabili nello spirito. Sono gli « storpi », gli « zoppi », i « ciechi » della parabola evangelica (cf. Lc 14,13-14), presenti spesso in ogni famiglia, in ogni comunità: persone di carattere difficile, persone menomate, sviate...
Vogliamo considerare prima la conversione (metànella predicazione di Gesù, nel Vangelo, e poi nella catechesi apostolica. C'è una differenza molto impor
Gesù predicava a persone che dovevano ancora prenla decisione di entrare nel regno; gli apostoli invece parlano di conversione a persone che sono già entrate nel
regno e hanno alle spalle una lunga permanenza nella Chiesa. Nella loro predicazione si profila la necessità di una seconda conversione, che riguarda molto da vicino annoi.
Ma non si può capire e tanto meno realizzare questa seconda conversione, senza aver ben capito la prima condi cui parla Gesù nel Vangelo.

La prima conversione
L'invito di Gesù, all'inizio della sua predicazione, è così espresso da Marco: « Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi (metanoeite) e credete al vangelo » (1,15)...
L'invito alla conversione non è nuovo. Risuona spesso nell'AT, specialmente nei profeti, e risuona nella predicazione dell'ultimo profeta dell'AT, Giovanni Bat« Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino » (Mt 3,2); « Io vi battezzo con acqua per la conversione » (Mt 3,11).
Ma la novità presentata da Gesù è la connessione strettissima fra il convertirsi e il credere al Vangelo. Il Vangelo è prima di tutto una persona, è Gesù. Quindi la vera conversione consiste nella fede, ossia nell'aderire con tutta la propria persona e vita a Gesù.
Per Gesù, convertirsi, non è solo cambiare vita, cambiare mentalità, cambiare condotta: un impegno moascetico, che porta alla salvezza; per Gesù, prima viene la salvezza e poi la conversione. Bisogna prima crenella lieta Novella che la salvezza è offerta a tutti come dono gratuito di Dio. La salvezza è Gesù stesso, è accogliere lui, la sua vita e, in lui, morire progressivaall'uomo vecchio e rinascere all'uomo nuovo, ossia lasciarsi trasformare dallo Spirito in Gesù, collaborare alrealizzazione in noi del mistero di morte e di vita, mipasquale e pentecostale..., il mistero nascosto da secoli in Dio e rivelato negli ultimi tempi (cf. Ef 3,9).
È una decisione vitale che Gesù esprime in due breparabole, riferite da Matteo: « Il regno dei cieli è simia un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simia un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra » (13,44-46).
Il regno dei cieli è Gesù stesso. È la proposta che Gesù fa al giovane ricco: « Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dàllo ai poveri... vieni e segui» (Mt 19,21). È una scelta radicale che darà un'imcompletamente nuova alla vita del giovane... ma il giovane non accetta: « ... se ne andò triste, perché avemolte ricchezze » (Mt 19,22). Non accetta Dio, peré adorava già un idolo... Quanti idoli si adorano anche diversi dalla ricchezza!...
Per esprimere la radicalità della scelta evangelica Gesù ricorre a delle espressioni paradossali: « Se il tuo occhio destro ti è motivo d'inciampo, cavalo e gettalo via da te... Se la tua mano destra ti è motivo d'inciampo troncala e gettala via da te... » (Mt 5,29-30). Sì, per il redei cieli, per Gesù, bisogna essere disposti a rinunanche alla salute, alla vita fisica, come fecero i martiri, come hanno fatto e fanno tanti cristiani che non vogliono rinnegare la fede.
Bisogna essere disposti anche a strapparsi un affetto dal cuore, se non è in armonia con il cuore di Cristo, aladoriamo un idolo. Possediamo la libertà del cuore, la preziosa libertà interiore?
Occorre distaccarsi anche dai doni spirituali, che possono diventare motivo di vanto, di superiorità sugli altri. « Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signonon abbiamo forse profetato il tuo nome? Nel tuo nonon abbiamo cacciato demoni e non abbiamo fatto nel tuo nome molti prodigi? Allora dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti! Andate via da me, operatori d'inià » (Mt 7,22-23).
Quando i settantadue discepoli ritornano, pieni di gioia, dalla missione affidata loro da Gesù di annunciare il Vangelo: « Signore, anche i demoni ci obbediscono, quando invochiamo il tuo nome », Gesù risponde: « Io vedevo satana precipitare dal cielo come una folgore... Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi, ma piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli » (Lc 10,17-18.20).

Dalle parole all'esempio
Non è facile convertirsi come Gesù vuole. Ecco peré alla fine della sua predicazione e della sua vita ritorna su questa esigenza della conversione.
Da tanto tempo i suoi discepoli sono con lui e non si sono ancora convertiti, né personalmente né comunita
Luca ha appena narrato l'istituzione dell'eucaristia, con quelle parole così significative, che sono anche un pressante invito a convertirsi dall'egoismo: « Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me »... « Questo calice è la nuova alleanza nel mio sanche viene versato per voi » (22,19.20), e subito l'eracconta come sorse una gran discussione fra i discepoli di Gesù: « Chi di loro poteva essere considerapiù grande » (Lc 22,24).

Gesù, con pazienza infinita, li ammaestra: « Chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi gocome colui che serve... Io sto in mezzo a voi come colui che serve » (Lc 22,26-27).
In questo contesto si ambienta molto bene la lavandei piedi narrata da Giovanni, una vera sintesi del mie della storia della salvezza (cf. 13,1-20).
Rileviamo i sei verbi che l'evangelista usa, non tanto per descriverci l'episodio, quanto per rivelarci i significadi ciò che descrive: Gesù « si alzò da tavola, e pose le vesti e, preso un asciugatoio se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli... Quando... ebbe lavato loro piedi, ... prese, le vesti, sedette di nuovo... » (Gv 13,4-5.12).

Stare a tavola esprime, secondo la mentalità ebraica, intimità di vita. È la comunione del Verbo col Padre, oscome dice Paolo, nell'inno cristologico della lettera ai Filippesi: « Cristo... pur essendo di natura divina » (Fil 2,6) e Giovanni: « In principio era il Verbo e il Verera presso Dio e il Verbo era Dio » (Gv 1 1). « Si alzò da tavola... » (Gv 13,4) ossia « Non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio » (Fil 2,6). « Depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita » (Gv 13,4) ossia « Spogliò se stesso, assumendo la condidi servo e divenendo simile agli uomini » (Fil 2,7); « E il Verbo si fece carne e venne ad abitare (pose la sua tenda) in mezzo a noi » (Gv 1,14).
« E cominciò a lavare i piedi dei discepoli... » (Gv 13,5), ossia « Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di cro» (Fil 2,7-8): è il servizio totale della vita.
Quando ebbe lavato i piedi dei discepoli, Gesù « rile vesti, sedette di nuovo...» (Gv 13,12). È l'esaltaziodi Cristo, la sua risurrezione e ascensione, fino a sederalla destra del Padre: « Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome... Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre » (Fil 2,9-11).

Così la lavanda dei piedi ci presenta in immagine il mistero e la storia della salvezza, realizzati, non solo in Cristo, ma in ognuno di noi. L'umiliazione e l'esaltaziodel Cristo sono la nostra umiliazione ed esaltazione. Questa è la nostra continua conversione: « Sapete ciò che vi ho fatto?... Se... io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri » (Gv 13,12.14).
« Lavarci i piedi!... » è l'atteggiamento di disponià, di servizio, nella nostra quotidianità, verso tutti, secondo le esigenze della giustizia e della carità e le nopossibilità, dicendo di « sì » alla vita di Cristo nella nostra vita, facendo come lui la volontà del Padre (cf. Gv 4,34).
La nostra conversione è la nostra quotidiana oblae immolazione nell'oblazione-immolazione del Crinon nelle grandi cose, ma nelle piccole cose, per amare non « a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità » (1 Gv 3,18).
« Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facanche voi » (Gv 13,15), come se Gesù dicesse: non solo nella liturgia del rito eucaristico, ma nella liturgia della vostra vita: « Fate questo in memoria di me » (Lc 22,19). « Sapendo queste cose, sarete beati se le metterein pratica » (Gv 13,17).
Quello che Gesù ha espresso in linguaggio paraboli(lavanda dei piedi), lo specifica nei celebri discorsi delcena e nella cosiddetta preghiera sacerdotale (cf. Gv 13-17).

In particolare Gesù ci presenta la realtà e l'esigenza di essere uniti alla sua oblazione-immolazione (cf. allegodella vita: Gv 15,1-17), per fare di tutta la nostra vita una preghiera eucaristica (cf. Gv 17).
In parole semplici: chi vive con gioia il servizio della lavanda dei piedi ai fratelli ed è disposto a donare la vita per Cristo e per i fratelli è in stato di conversione contie rende grazie a Dio con la preghiera eucaristica, non solo nella liturgia del rito, ma nella liturgia della vita e della storia: « È veramente cosa buona e giusta rengrazie e innalzare a te l'inno di benedizione e di lode, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore... ».
Essendo chiamati a fare della nostra vita una contioblazione d'amore a Dio e ai fratelli, dobbiamo, coCristo, alzarci spesso, nella nostra giornata, dal trono di figli di Dio, deporre, come Gesù, le vesti, cingere ai fianchi un asciugatoio e lavare i piedi dei nostri fratelli, con la disponibilità al loro servizio; quindi riprendere le vesti e sederci di nuovo sul trono dei figli di Dio, poiché siamo « chiamati figli di Dio e lo siamo realmente » (1 Gv 3,1).
Tuttavia ci chiediamo: questa meravigliosa vocazioall'oblazione d'amore, che sempre implica l'immolanon pretendiamo, in modo inconscio, di realizpelagiamente, ossia soprattutto con le nostre forze? Non è necessaria una rinnovata, profonda conversione allo Spirito?
Nella nostra vita dobbiamo partire da zero, con Dio solo come ricchezza, nulla e ben poco di nostro, « come bambini appena nati », dice s. Pietro (1 Pt 2,2), come chi è sorpreso all'improvviso dal Regno che viene, ossia da Gesù, « mentre si trova nel campo e non torna a casa per prendere il mantello » (Mt 24,18).
Questa è la conversione nel Vangelo: un lasciare tutper avere il TUTTO avere il Regno, Gesù.
Paolo ci dà l'esempio della perfetta conversione: « Tutto ormai io reputo una perdita (spazzatura) di fronalla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Si» (Fil 3,8).
« Conoscere » nella Bibbia di possedere, è l'unione dgllo sposo con la, sposa.
Umilmente tuttavia l'Apostolo riconosce: « Fratelli, io non ritengo di essere giunto alla perfezione; questo soltanto io so: dimentico del passato e proteso verso il fucorro verso la meta » (Fil 3,13), e la meta è la sublià della conoscenza di Cristo Gesù: possedere Lui o meglio essere posseduti da Lui.
Facciamo nostra la preghiera di Paolo per i primi crinella lettera agli Efesini, perché abbiano a « cono» l'amore di Cristo: « Piego le ginocchia davanti al Padre, ... perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria (= amore), di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore. Che Cristo abiti per la fede ( = adesione vita a vita) nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comcon tutti i santi ( = i cristiani in grazia) quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e « conoscere » l'amore di Cristo, che sorpassa ogni conoscenza perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio » (Ef 3,14-19)...

« Dalla sua pienezza noi tutti abricevuto e grazia su grazia » (Gv 1,-16). Per que« Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi vedemmo la sua gloria (= amore), gloria come di unigenito dal Padre, pieno (per noi) di grazia e di verità » (Gv 1,14).
La corsa di Paolo per conquistare Cristo, come egli è stato conquistato da lui, mi fa ricordare che tante volte anche noi abbiamo preso la rincorsa per saltare il nostro piccolo o grande Mar Rosso, per trovarci nella libertà della Terra Promessa; ma lo slancio si è andato affievoe ci siamo arrestati sulla riva del mare; siamo rimanell'Egitto dei nostri egoismi, delle nostre passioni, dei nostri affetti troppo umani, dei nostri peccati. Ora il Signore ci invita a ritentare la corsa e il salto, fidando nella preghiera allo Spirito. Con lui ce la farai. Prendi la rincorsa e non fermarti, finché non sei fra le braccia del Padre che ti attende, di Cristo che ti vuole unire a sé.

La seconda conversione
La conversione all'oblazione d'amore è solo in parte frutto del nostro sforzo; è frutto specialmente della gradella preghiera continua, del nostro rapporto con Cristo nello Spirito.
Parliamo della conversione secondo la catechesi apoRiflettiamo sulle lettere inviate alle sette chiese dell'Asia Minore, presentate dall'Apocalisse (cf. 2,1-29; 3,1-22).
La preoccupazione di fondo di queste lettere è chiara: come ridestare il primitivo fervore o il primitivo amore all'interno di comunità cristiane, che lo hanno più o meno smarrito o corrono il rischio della tiepi
È un problema di conversione, che facilmente rianche noi e le nostre famiglie, le nostre comunità religiose. Dopo un certo periodo di tempo dal loro inizio, corrono il rischio del rilassamento, della tiepidezza: « Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chie» (Ap 2,7.11.19.29...)…
Così conclude ognuna delle sette lettere. È un amrivolto anche a noi.

È Gesù che parla mediante il suo Spirito: « Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice... ».
Gesù è presentato come il « Primo e l'Ultimo... il Vivente » (Ap 1,17-18), 1'« Amen » (Ap 3,14), ossia Coche ha detto e dice sempre di « Sì » al Padre.
Cristo - scrive Paolo - non fu « sì » e « no » (cotante volte lo siamo noi), ma in lui c'è stato il « Sì ». Tutte le promesse di Dio in lui sono diventate « Sì » (2 Cor 1,19-20). Anche Maria fu un « Amen », un « Sì » continuo alla volontà del Padre.

Lo Spirito di Gesù comincia così tutte le sette lette« Conosco le tue opere! ». Segue l'approvazione per le opere buone compiute nella comunità ecclesiale e la disapprovazione delle opere cattive. A questo punto, in cinque delle sette lettere, interviene l'appello alla conver« Ravvediti », « Svegliati », ossia « Convertiti », « Ricorda... da dove sei caduto, ravvediti e compi le opedi prima » (2,5; cf. 2,16.22). « Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio » (3,2); « Mozelante e ravvediti » (3,19).
Bisogna, come ho detto, rovesciare il vestito e più del vestito.
La seconda conversione appare come una conversiodalla fede teorica, alla fede concreta delle opere e come dice Giovanni: « Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità » (1 Gv 3,18).
Le opere della seconda conversione sono le opere dello Spirito, senza le quali, secondo s. Giacomo, la fede stessa « rimane inerte » (2,20). Dobbiamo convertirci e irradiare i frutti dello Spirito.
Propriamente, secondo Paolo, « frutto dello spiri» è uno solo, « la carità » (agàpe) (Gal 5,22). Ma il campo della carità è immenso. Ecco perché Paolo ne prei segni: la « gioia » e la « pace »; le manifestazioni (senza alcuna pretesa di esaurirle): la « pazienza », la « bontà », la « benevolenza »; le condizioni, perché la caà sia ben radicata, fiorisca e dia frutti: la « fedeltà », ossia la fede intesa come adesione di tutta la persona, di tutta la vita a Cristo (cf. Gal 5,6); la « mitezza », che è sempre accompagnata dall'umiltà (cf. Mt 11,29) ed è l'uvia che percorre la carità; il « dominio di sé », ossia lasciarsi guidare nei pensieri e nei desideri, nelle parole e nelle opere, non dalle esigenze del nostro egoismo, ma dallo Spirito di Dio (Gal 5,22: TOB, nota ).

Tutto questo diventa realtà nella nostra vita, se ci lasciamo crocifiggere con Cristo dallo Spirito (cf. Gal 2,20; Eb 9,14): « Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo secondo lo Spirito » (Gal 5,24-25).
Ma l'irradiazione abituale, quotidiana dei frutti delSpirito richiede un lungo e complesso cammino. La podel Padre è quella necessaria immolazione del nostro egoismo o, come scrive Paolo, della nostra « carcon le sue passioni e i suoi desideri » (Gal 5,24), senla quale non possiamo agire sotto l'influsso dei doni dello Spirito e irradiare i suoi frutti (cf. Gal 5,22.25; cf. Gv 15,2).
« Io sono la vite, voi i tralci - continua Gesù - Chi rimane in me, e io in lui, fa molto frutto... Rimanete nel mio amore » (Gv 15,5.9).
Secondo il significato del verbo greco « menein en » Gesù ci invita a lasciarci avvolgere, penetrare, permeare dal suo amore, a riposare nel suo amore, a perseverare nel suo amore.
L'amore di Gesù è l'amore stesso del Padre, è lo Spid'amore, lo Spirito Santo, che sarà, almeno in parte, descritto da questo libro. Suppone l'esercizio delle virtù morali e teologali; reso facile dall'influsso costante dei doni dello Spirito e accompagnato dalla pratica delle bea
Sono queste le opere che dimostrano che siamo dei salvati, dei risorti, dei glorificati in Cristo (cf. Rom 8,30). Sono i frutti della salvezza, della santità, che ci dialla gloria.
Nell'allegoria della vite e dei tralci Gesù dice chiara« Ogni tralcio che porta frutto, (il Padre) lo pota, perché porti più frutto » (Gv 15,2).
Questa è la conversione continua, in ogni momento della vita, allo Spirito, ai suoi doni, ai suoi frutti, alle beatitudini; è la seconda, necessaria conversione.
Noi possiamo avere tanti doni, tanti carismi, fare miracoli, guarire gli ammalati, predire il futuro, avere visioni; ma senza i doni dello Spirito, l'irradiazione dei suoi frutti, che ci portano a praticare tutte le virtù abie con diletto, ci sentiamo dire da Gesù: « Non vi ho mai conosciuti; andate via da me, operatori d'inià » (Mt 7,23).
Con tutte le nostre doti, con tutti i nostri carismi, senza i doni, senza i frutti dello Spirito e la pratica delle beatitudini, siamo simili a un albero di Natale, carico di doni luccicanti, messi lì nottetempo da papà e mamma; ma l'albero di Natale è effimero, posticcio; dopo un po' si toglie, perché secca o addirittura non è un vero albero, è di plastica; è fuori tempo e fuori luogo; lo si mette in solaio.
Se invece viviamo dei doni dello Spirito, ne irradiai frutti, pratichiamo le beatitudini, siamo alberi veri, come dice il salmo: « Sarà come albero piantato - lungo
i corsi d'acqua - darà frutto a suo tempo - e le sue fonon cadranno mai, - riusciranno tutte le sue opere » (Sal 1,3).




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