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Lo jihadista non è riuscito a decapitarmI

Testimonianze Cristiane
Lo jihadista non è riuscito a decapitarmi: “Chi sei, visto che non riesco ad abbassare il coltello?”
  
Religión en Libertad | Mag 12, 2017
 
Santiago Quemada
                    
La straordinaria esperienza del sacerdote francescano Abuna Nirwan in Iraq
Abuna Nirwan  è un sacerdote francescano originario dell’Iraq che prima  dell’ordinazione ha studiato Medicina. Destinato alla Terra Santa, nel  2004 si è visto concedere dalle Suore Domenicane del Rosario, fondate da Santa Marie Alphonsine Danil Ghattas  (palestinese canonizzata nel 2015), una reliquia della loro fondatrice e  un rosario da lei utilizzato, che padre Nirwan porta sempre con sé.
Quando nel 2009 Benedetto XVI ha approvato il  miracolo per la beatificazione della religiosa, è stato richiesto dalla  Santa Sede che si procedesse alla riesumazione del suo cadavere. In  genere il compito spetta al vescovo locale, che designa un medico  presente. È stato allora chiesto a Abuna Nirwan di eseguire la  riesumazione e di elaborarne un rapporto medico.

Due anni prima aveva avuto luogo un fatto davvero straordinario, riferito dal sacerdote Santiago Quemada nel suo blog Un sacerdote en Tierra Santa:
La storia che racconteremo si è svolta il 14 luglio 2007. Abuna  Nirwan era andato a far visita alla sua famiglia in Iraq. Era andato con  un taxi contrattato alla frontiera siriana. Lo ha raccontato egli  stesso nell’omelia di una Messa che ha celebrato a Bet Yalla:
“In quel momento non c’era la possibilità di andare in  aereo a trovare la mia famiglia. Era proibito. Il mezzo di trasporto era  l’automobile. L’idea era arrivare a Baghdad e da lì andare a Mosul,  dove vivevano i miei genitori.
L’autista aveva paura per la situazione che si viveva in Iraq. Una  famiglia – padre, madre e una bambina di due anni – ci ha chiesto se  poteva viaggiare con noi. Il tassista mi ha detto che glielo avevano  chiesto e io non ho sollevato obiezioni. Erano musulmani. L’autista era  cristiano. Ho detto loro che nella macchina c’era posto e che potevano  venire con noi. Ci siamo fermati a un distributore, e un altro giovane,  musulmano, ci ha chiesto di venire a Mosul. Visto che c’era posto è  stato accolto anche lui.

La frontiera tra Giordania e Iraq non si apre fino all’alba. Quando è  spuntato il sole si è alzata la barriera, e circa cinquanta o sessanta  automobili hanno avanzato lentamente una dietro l’altra.
Abbiamo proseguito il viaggio. Dopo più di un’ora siamo arrivati in  un posto in cui c’era un’ispezione. Abbiamo preparato i passaporti. Ci  siamo fermati. L’autista ha detto: “Ho paura di quel gruppo”. Prima era  un check point militare, ma i membri di un’organizzazione terroristica  islamica avevano ucciso i militari e avevano preso il controllo del  luogo.
Quando siamo arrivati ci hanno chiesto i passaporti e non ci hanno  fatto scendere dalla macchina. Hanno portato i passaporti nell’ufficio.  La persona è tornata, si è rivolta a me e mi ha detto: “Padre, andiamo  avanti con le indagini. Potete andare in ufficio”. “Molto bene”, ho  risposto, “se dobbiamo andare andremo”. Abbiamo camminato per un quarto  d’ora fino ad arrivare alla baracca che ci avevano indicato.

Quando siamo arrivati lì sono usciti due uomini a volto coperto. Uno  aveva una telecamera in una mano e un coltello nell’altra. L’altro aveva  la barba e teneva in mano il Corano. Si sono avvicinati al punto in cui  ci trovavamo e uno di loro mi ha chiesto: “Padre, da dove viene?” Ho  detto che venivo dalla Giordania. Poi lo ha chiesto all’autista. Poi si è  rivolto al ragazzo che viaggiava con noi, l’ha afferrato da dietro con  le braccia e lo ha ucciso con il coltello. Mi hanno legato le mani. Poi  mi hanno detto: “Padre, stiamo registrando tutto questo per al Jazeera.  Vuole dire qualcosa? Per favore, non più di un minuto”. Io ho detto:  “No, voglio solo pregare”. Mi hanno lasciato un minuto per pregare.

Poi l’uomo mi ha spinto fino a farmi cadere in ginocchio e ha detto:  “Sei un sacerdote, ed è proibito che il tuo sangue cada a terra perché  sarebbe un sacrilegio”. Allora è andato a prendere un secchio ed è  tornato per sgozzarmi. Non ricordo quali preghiere ho recitato in quel  momento. Avevo molta paura, e ho detto a Marie Alphonsine: “Non  dev’essere un caso che ti porti con me. Se è necessario che il Signore  mi porti via sono pronto, ma se non è così ti chiedo che non muoia  nessun altro”.

L’uomo mi ha afferrato la testa con la mano, mi ha tenuto con forza  la spalla e ha alzato il coltello. Dopo qualche momento di silenzio ha  detto: “Chi sei?” Io ho risposto: “Un frate”. E lui: “E perché non  riesco ad abbassare il coltello? Chi sei?” Poi, senza lasciarmi il tempo  di rispondere, ha detto: “Padre, tu e tutti gli altri tornate alla  macchina”. Siamo andati verso il veicolo.
Da quel momento ho smesso di avere paura di morire. So che un giorno  morirò, ma ora ho più chiaro che sarà solo quando Dio vorrà. Da allora  non ho paura di niente e di nessuno. Quello che mi accadrà sarà per  volontà di Dio, ed Egli mi darà la forza per prendere la sua Croce. Ciò  che conta è avere fede. Dio si prende cura di chi crede in Lui.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]
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