La Chiesa cattolica romana - La vera Chiesa di Gesù Cristo - Cristiani Cattolici: Pentecostali Apologetica Cattolica Studi biblici

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La Chiesa cattolica romana - La vera Chiesa di Gesù Cristo

Testimoni di Geova
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LA CHIESA PER I TESTIMONI DI GEOVA

All'origine dell'errore
1 - “I settari diventarono la spina più amara inflitta nella carne di Lutero, in quanto essi rappresentavano il chiaro segno del suo rifiuto dell'autorità esistente, e lo indussero ai gesti più violenti, compresa l'approvazione della pena di morte per gli eretici quali gli Anabattisti”.
A distanza di quattro secoli e mezzo dalla vita di Lutero non lo si può scagionare dall'aver dato l'avvio, certamente contro sua voglia, a quel proliferare di sette religiose spuntate dopo di lui, e che spuntano ancora, specie nelle nazioni e tra i popoli maggiormente toccati dalla Riforma luterana.
Si tratta certamente d'una applicazione errata del principio del “libero esame”, della “sola fede”, della “sola Scrittura”. Nella mente di Lutero questo principio voleva dire che la fede del vero cristiano si basa sull'autorità della Parola di Dio, di Cristo, del suo Spirito. Lutero non escludeva il ministero o servizio della Parola, ossia la presenza e l'opera nelle comunità cristiane di persone qualificate, che annunciassero autorevolmente la Parola di Dio (cfr. Efesini 4, 11-16; 1 Corinzi 12, 4-30 ecc.). Lutero fu una di queste.

2 - Tuttavia, fondati sul principio del “libero esame”, Lutero e i suoi seguaci, quanti cioè si sono ispirati e si ispirano al suo insegnamento, hanno rigettato l'autorità del Papa e dei Concili, cioè del Magistero ecclesiastico. A loro avviso, il Magistero ecclesiastico ha soppiantato l'autorità della Scrittura. Vedremo che non è così.
Questo rifiuto portò al rigetto di non poche dottrine ed elementi importanti della Chiesa Cattolica, quali la santa Messa, la confessione, il battesimo dei bambini, il culto della Madonna e dei Santi, la fede nell'esistenza del purgatorio ecc.
3 - I cattolici giudicarono errata questa nuova dottrina e quindi pericolosa per la vera fede, perché in definitiva dava troppo spazio, anzi tutto lo spazio, al proprio giudizio. Essa apriva le porte a un deleterio soggettivismo o, peggio ancora, a un deprecabile settarismo come di fatto avvenne. I protestanti o riformatori replicavano che si trattava d'un ritorno puro e semplice alle origini, al genuino insegnamento del Vangelo. A loro avviso, la Chiesa Cattolica se ne sarebbe allontanata, sostituendo all'autorità di Cristo quella di uomini come papi, vescovi, concili.
Dov'è la verità?

Precisazioni doverose
Prima di rispondere a questa domanda, seguendo fedelmente ciò che dice il Vangelo, è doveroso e anche utile fare alcune precisazione.
1 - Anzitutto non è esatto dire che i cattolici, nella loro scelta di fede e nella coerenza morale della vita, obbediscono a un'autorità diversa dalla Parola di Dio. E' errato dire che i cattolici basano la loro fede sull'autorità arrogante di uomini come papi, vescovi, concili.
Senza paura di essere frainteso, almeno da quanti sanno e ragionano, dico che per il cattolico l'atto di fede è fondamentalmente una scelta libera e responsabile del soggetto credente. Sono io a voler accettare la fede e la morale insegnate nella Chiesa Cattolica. Nessuno me lo impone.
In altre parole, l'atto di fede del cattolico è basato su un proprio giudizio, che è l'accettazione della “sola Scrittura”, purché si intenda tutta la Scrittura. Certo è lo Spirito Santo che muove all'obbedienza della fede (cfr. Romani 1, 5), dopo l'annuncio e l'ascolto della Parola (cfr. Romani 10, 14). Ma rimane il fatto che il credente cattolico risponde liberamente all'impulso dello Spirito che parla mediante tutta la Scrittura. Vedremo in seguita come la Scrittura, intesa nella sua integrità, non esclude anzi esige il servizio autorevole di Papi, Vescovi e Concili.
2 - Per ora diciamo che da questa norma o processo non sono esenti né papi né vescovi né concili. Anzi vi sono legati in modo particolare perché nel servizio alla comunità sono essi i garanti della fede. Qui fede va intesa in senso oggettivo, vale a dire il complesso di verità da accettare liberamente per essere un autentico discepolo di Cristo.

Il Concilio Vaticano Il ha espresso questa dottrina con la massima chiarezza:
“L'ufficio poi di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa è affidato al solo Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. il quale Magistero non è superiore alla Parola di Dio, ma ad essa serve, insegnando soltanto ciò che è trasmesso, in quanto per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santa- mente custodisce e fedelmente espone quella Parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio”.
Osservazioni:
a) Per Magistero bisogna intendere l'insieme dei vescovi (papa e vescovi) in qualità di maestri o testimoni della Parola di Dio. Sono ministri della Parola e pastori del gregge (cfr. Atti 20, 28).
E' detto vivo nel senso che tali ministri e pastori, per volontà di Cristo, sono presenti nella sua Chiesa in ogni epoca della storia. Sono suoi rappresentanti per far conoscere agli uomini di tutti i tempi il suo insegnamento dato una volta per sempre (cfr. Giuda 3). Non il proprio insegnamento, ma l'insegnamento di Cristo.

b) Per compiere questo loro ministero, papi e vescovi devono essi stessi ascoltare la P
arola di Dio e custodirla fedelmente senza alterazione alcuna. Sono servi della Parola, non superiori ad essa. Prima e sopra di loro vi è Cristo, vi è la Scrittura. Il papa e i vescovi insegnano solo ciò che Cristo ha insegnato senza aggiungere o togliere nulla. Ciò che essi insegnano è contenuto nel deposito della fede (cfr. I Timoteo 5, 20). Lo Spirito Santo guida nella conoscenza della verità tutta intera (cfr. Giovanni 14, 26).
c) Se nella lunga storia della Chiesa Cattolica vi sono pagine o gesti di papi e di concili che potrebbero far pensare diversamente, vale a dire che papi o concili abbiano alterato la parola di Dio, un'analisi accurata ed onesta di quelle pagine o gesti può rettificare e cancellare quella impressione. Bisogna analizzare coscienziosamente i singoli casi come hanno fatto storici e teologi di grande valore. In quanta verità di fede e di morale il Magistero Ecclesiastico, anche se alcune volte rappresentato da persone moralmente discutibili, non ha mai insegnato cose contrarie alla Parola di Dio.
3 - Riassumendo diciamo o ripetiamo:
a) Secondo la dottrina cattolica la fede del credente cattolico è una libera risposta alla chiamata di Dio mediante la sua Parola conosciuta intelligentemente e confermata autorevolmente. Nessun cattolico è forzato a credere ciò che crede. Dire il contrario è calunnioso. La fede è un dono di Dio accettato liberamente dall'uomo. Il cattolico accetta e aderisce alla Scrittura mediante una risposta libera, personale, soggettiva, in virtù di una libera valutazione e di una decisione personale.
Ci può essere, perciò, una interpretazione esatta del principio del “libero esame”, quando si vuole mettere in risalto la responsabilità della persona e il primato della Parola di Dio; ma non si può accettare l'uso che ne è stato fatto storicamente (e che si fa ancora oggi) per far passare l'individualismo e il soggettivismo nel campo della fede e della morale.
b) Affinché poi l'oggetto della fede e della morale sia garantito o, in altre parole, affinché ciò che il cattolico crede sia veramente Parola di Dio, Cristo ha stabilito il Magistero. Sotto tale guida la Parola di Dio non è lasciata all'arbitrio dei singoli, ma preservata nella sua integrità e purezza, e trasmessa nella sua genuinità.
c) L'atto di fede del cattolico ha perciò due componenti: una soggettiva, che è, la libera adesione alla Parola di Dio; l'altra oggettiva, nel senso che egli attinge ciò che crede dal deposito della fede custodito e interpretato fedelmente dal Magistero sotto la guida speciale dello Spirito Santo.
d) Il Magistero, infine, non è  libero d'insegnare ciò che vuole. Papi e Vescovi non sono superiori alla Parola di Dio, ma ad essa servono, insegnando soltanto ciò che è trasmesso. Essi piamente ascoltano, santamente custodiscono e fedelmente espongono la Parola di Dio.


PARTE PRIMA
LA STRUTTURA DELLA VERA CHIESA


Concetto o nozione di Chiesa
Ritorniamo ora alla domanda o questione di prima, che può essere formulata nel modo seguente.
Come riceve il cattolico la fede oggettiva, ossia le verità rivelate da Dio, a cui aderisce liberamente? Direttamente dalla Scrittura sotto l'impulso dello Spirito Santo oppure dalla Scrittura conservata e interpretata, attraverso il tempo, da una guida autorevole, diretta dallo Spirito Santo? E in questo secondo caso, qual è questa guida? Chi l'ha costituita?
Com'è facile capire qui è in questione la natura e la struttura della vera Chiesa di Gesù Cristo: Com'è strutturata questa Chiesa? Che cosa dice la Scrittura a questo riguardo?
1 - La parola chiesa (greco ekklesìa da ekkalèin convocare) indica l'assemblea religiosa. Il termine fu usato già prima di Cristo per indicare l'assemblea religiosa degli Israeliti nel suo insieme. Col tempo venne a indicare le assemblee religiose locali degli Israeliti fuori di Gerusalemme, ossia le comunità riunite intorno alla sinagoga.

Presso i cristiani la Ekklesìa venne a indicare il gruppo o i gruppi dei discepoli di Cristo che si riunivano prima a Gerusalemme e poi in altre città e località fuori di Gerusalemme. Indicava cioè le chiese o comunità locali, particolari. Così era chiamato il gruppo dei cristiani di Gerusalemme (cfr. Atti 11, 22), come pure quello di Antiochia (cfr. Atti 13, 1). Identico significato in san Paolo che scrive “alla chiesa di Dio che è in Corinto” (1 Corinzi 1, 2; 2 Corinzi 1,1); “alle chiese della Galazia” (Galati 1, 2). Anche le chiese, di cui in Apocalisse capitoli 2 e 3, sono chiese locali.
2 - Tuttavia lo stesso vocabolo Ekklesìa è usato nel Nuovo Testamento per indicare l'assemblea o comunità dei discepoli di Cristo nella loro totalità. Così, per esempio, in Efesini 1, 22-23 san Paolo parla della Chiesa come del Corpo di Cristo, la pienezza di Lui che tutto riempie. Identico significato> in Efesini 5, 25, dov'è detto che “Cristo ha amato la Chiesa e si è offerto per lei per santificarla”. E' tutto il Popolo di Dio, tutto l'Israele di Dio (cfr. Galati 6, 16), che Cristo ha santificato. Così pure in Matteo Gesù chiama Ekklesìa la moltitudine dei suoi discepoli, che avranno Pietro come fondamento incrollabile (cfr. Matteo 16, 16-18).
3 - Per indicare questa medesima realtà, ossia l'assemblea universale dei discepoli di Cristo, la Bibbia usa anche altri vocaboli, altre immagini. Ne ricordiamo solo alcune.
La Chiesa tutta è paragonata al gregge e ovile (cfr. Giovanni 10, 1-10). L'una e l'altra immagine fa pensare a un'unica grande comunità guidata da un Pastore. Un'altra immagine è quella della famiglia, che comporta anche una struttura unitaria sotto una guida incontestata e sicura (cfr. Efesini 2, 19-22). In quanto tale la Chiesa è detta anche “la dimora di Dio con gli uomini” (Apocalisse 21, 3), “tempio santo di Dio” (Efesini 2, 21), “la Città Santa” (Apocalisse 21, 2).

La Nuova Gerusalemme (Apocalisse 21, 10 ss.)
Soffermiamoci ora a considerare la Chiesa nella sua totalità, come l'assemblea di tutti i discepoli di Cristo: qual è la struttura che di essa ci offre la Bibbia? Citiamo e spieghiamo brevemente un testo dell'Apocalisse molto significativo.
1 “L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande ed alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele (...). Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello” (Apocalisse 21, 10-14, CEI).

Spiegazione:
1 - La città santa, Gerusalemme, che l'angelo mostra a Giovanni, è certamente la Chiesa universale, “tutto l'Israele di Dio” (Galati 6, 16). Di essa fa parte il popolo dell'Antico Testamento, come fa chiaramente capire la menzione dei nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. Ma fa parte soprattutto il popolo della Nuova Alleanza, rappresentato dai nomi dei dodici apostoli dell'Agnello.
2 - Qui interessa mettere in rilievo come le mura della città santa Gerusalemme, che è la Chiesa, poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello. Giovanni dunque, presentando la struttura della Chiesa universale, assegna ai dodici apostoli la funzione di fondamento (cfr. anche Efesini 2, 20).
Se si tiene presente che le fondamenta sono insostituibili nella struttura d'un edificio, ne segue che la funzione dei dodici apostoli è essenziale e di primaria importanza per la solidità e stabilità della vera Chiesa di Cristo. San Giovanni non poteva essere più chiaro: la vera Chiesa di Cristo deve essere apostolica, altrimenti non è la vera Chiesa di Cristo.
Si ha qui un'illustrazione plastica del pensiero di san Paolo che, riferendosi a tutti i credenti in Cristo, dice: “Siete concittadini dei santi e membri della casa di Dio, sopraedificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti con lo stesso Cristo Gesù quale pietra angolare” (Efesini 2, 19-20).
La vera Chiesa di Cristo, nella sua universalità, non poggia su uno scritto, ma su uomini, testimoni e messaggeri di quello scritto.
3 - Ricordiamo infine che Giovanni nell'Apocalisse presenta la Chiesa di tutti i tempi, la Chiesa di ieri, di oggi, di sempre, come procede nel tempo tra lotte e trionfi, eroismi e tradimenti, coraggio e viltà. Questa Chiesa poggia sulle solide fondamenta dei dodici Apostoli.

Uno sguardo alle origini
Questa visione di Giovanni non è una sua invenzione. Egli era ben consapevole di come il divino Maestro aveva strutturata la sua comunità, il popolo della Nuova Alleanza. Uno sguardo alle origini ci aiuta a capire bene le cose.
1 - Nei vangeli non si legge che il Signore Gesù abbia avuto mai la preoccupazione di scrivere o di far scrivere i suoi insegnamenti, il Vangelo del Regno. Egli volle essere un Maestro (Rabbì), non uno scriba: “E si stupivano del suo insegnamento, perché li ammaestrava come uno che ha autorità e non come gli scribi” (Marco 1, 22). Né volle circondarsi di scribi.
Leggiamo invece nei vangeli che fin dai primi giorni della sua vita pubblica il Maestro accettò, anzi invitò, persone che lo seguissero come discepoli (cfr. Giovanni 1, 37-42). Il gruppo di questi discepoli andò sempre crescendo.Erano molti (cfr. Luca 6, 17).
2 - E arrivò un giorno in cui il Maestro, dopo aver pregato a lungo (cfr. Luca 6, 12), fece una scelta tra quanti lo seguivano come discepoli. Racconta san Marco:
“Poi salì sulla montagna e chiamò quelli che volle, ed essi andarono da lui. E ne costituì dodici perché stessero con lui, e per mandarli a predicare col potere di scacciare i demoni. Costituì, dunque, i Dodici: Simone, al quale diede il nome di Pietro ecc.” (Marco 3, 13-16, Garofalo). Seguono i nomi dei Dodici scelti.
San Luca, nel racconto parallelo, precisa che ai Dodici Gesù “diede il nome di apostoli” cioè inviati (Luca 6, 13). Parlando poi della prima missione, dice: “Riunì i Dodici” (Luca 9, 1).
La precisazione di Luca fa capire chiaramente che tra i discepoli in genere e i Dodici scelti da Ges\'f9 esiste una differenza rimarchevole. San Matteo dice: “I dodici discepoli”, ma subito dopo precisa: “I nomi dei dodici apostoli sono questi: primo, Simone detto Pietro ecc.” (Matteo 10, 2).
I Dodici dunque formano un gruppo ben distinto tra i seguaci o discepoli di Cristo, con compiti o funzioni particolari. A conferma vale il fatto che, dopo questa scelta o elezione, il gruppo è assai spesso designato col solo nome di “I Dodici” (Oi Dòdeka): 34 volte contro 8.

Gesù e i Dodici
Leggendo i vangeli si nota facilmente come dopo la scelta dei Dodici, tra Gesù e questo gruppo si siano creati gradatamente rapporti particolari. Molto significativa è l'espressione di Marco che dice: “Li scelse per averli con sé, per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Marco 3, 14-15).
1 - Effettivamente, non molto tempo dopo la scelta, Gesù affida ai Dodici la prima missione: li manda da soli, a due a due, rivestendoli della sua stessa autorità e dei suoi poteri. Oltre all'impegno di annunziare il Vangelo, come farà anche coi settantadue discepoli (cfr Luca 10, 1 ss.), ai Dodici Gesù “diede autorità sugli spiriti maligni e di guarire le malattie” (Luca 9, 1-2). Disse loro: “Guarite i malati, risuscitate i morti, sanate i  lebbrosi, scacciate i demoni” (Matteo 10, 8).
2 - Ai Dodici, in corso di tempo, Gesù fa conoscere la vera natura della sua missione messianica, vale a dire che, contrariamente alla comune attesa, egli restaurerà il Regno di Dio mediante la sofferenza e la morte, seguita dalla risurrezione. Più d'una volta Gesù aveva accennato alla sua passione (cfr. Matteo 16, 21; 17, 22, e paralleli; Giovanni 2, 19-22). Ma ai Dodici parlò in modo particolare e abbastanza chiaro:
“Mentre erano nella strada che sale a Gerusalemme (…) ancora una volta Gesù prese in disparte i Dodici discepoli e si mise a parlare di quello che gli doveva accadere. Disse loro: “Ecco, noi stiamo salendo verso Gerusalemme; là il Figlio dell'uomo sarà dato nelle mani dei capi dei sacerdoti” (Marco 10, 32-34).
3 - Altro momento forte di questa intimità tra Gesù e i Dodici è certamente la celebrazione dell'ultima Pasqua. Senza dubbio in quella circostanza c'erano a Gerusalemme altri discepoli. Ma Gesù volle celebrare la Pasqua solo coi Dodici: “Quando fu sera, si mise a tavola insieme ai Dodici discepoli” (Matteo 26, 20; Marco 14, 17; Luca 29,4).
Dal tenore delle parole che Gesù rivolse ai Dodici in quella circostanza, apprendiamo che conferì loro il potere sacerdotale di offrire l'unico sacrificio della Nuova Alleanza: “Fate questo in memoria di me” (Luca 22, 19).
 4 - Anche nel lungo discorso che segui la Santa Cena, in cammino verso il Getsemani, gli interlocutori immediati di Gesù furono i Dodici. A loro in modo particolare Gesù promette lo Spirito Santo.
“lo pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito (difensore, assistente, consolatore), che starà sempre con voi, Io Spirito di verità (... ). Vi ho detto queste cose mentre sono con voi. Ma il Padre vi manderà nel mio nome un Difensore: lo Spirito Santo. Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che ho detto” (Giovanni 14, 16.25-26).
Senza dubbio lo Spirito Santo è dato a tutti i credenti in Cristo (cfr. Giovanni 7, 39). Ma qui appare chiaro che una particolare effusione dello Spirito è promessa ai Dodici, in vista certamente della funzione speciale che avrebbero dovuto svolgere in seno alla comunità dei discepoli di Cristo.
5 - Dopo la crisi del venerdì santo, che vide dispersi anche i Dodici, il Risorto li ristabilisce nella loro missione, che riceve un assetto definitivo dalla certezza della risurrezione. Luca ci informa che il Risorto fu assunto in cielo “dopo aver dato istruzioni agli Apostoli che si era scelti nello Spirito Santo. Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo per quaranta giorni e parlando del Regno di Dio” (Atti 1, 2-3).
Certo il Risorto apparve anche ad altri; ma nelle apparizioni una particolare attenzione fu riservata ai Dodici. Nel racconto sommario che san Paolo fa delle apparizioni di Cristo Risorto afferma esplicitamente che si fece vedere ai Dodici (cfr. 1 Corinzi 15, 5).

I Dodici nella Chiesa primitiva
La scelta dei Dodici fatta da Gesù e la cura particolare che egli ebbe nei loro riguardi spiegano e giustificano il ruolo che i Dodici ebbero nella Chiesa dei primi tempi. I primi cristiani ricevettero la fede non da uno scritto, ma dalla viva voce dei Dodici e dei loro    collaboratori.
1 - I Dodici insegnano e presiedono nella comunità di Gerusalemme (cfr. Atti 2, 42-43). Con grande coraggio attestano la risurrezione del Signore e riscuotono grande simpatia (cfr. Atti 4, 33), ma anche avversità e persecuzioni (cfr. Atti 5, 17-18). S'interessano dei beni della comunità (cfr. Atti 4, 34-35; 5, 2). Parlano in nome di Gesù e sempre in suo nome compiono segni e miracoli (cfr. Atti 5, 12 e 5, 40). Riservandosi il servizio della Parola, autorizzano altri ad aver cura della distribuzione dei beni (cfr. Atti 6, 2-6).Si riuniscono a Gerusalemme insieme agli anziani per decidere, sotto la guida dello Spirito Santo, che cosa bisogna esigere dai cristiani provenienti dal paganesimo (cfr. Atti 15, 2-22).
2 - A conferma di questo ruolo direttivo dei Dodici nella Chiesa primitiva vale quanto sugli Apostoli, ossia sui Dodici, dice san Paolo nelle sue Lettere.
Scrivendo ai cristiani di Corinto afferma che nell'organismo ecclesiale, oltre alla basilare uguaglianza di tutti come membra di Cristo, vi sono diversità di funzioni volute da Dio:
“Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. Alcuni però Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli” (1 Corinzi 12, 27-28).
E altrove:
“E' lui (Cristo) che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti” (Efesini 4, 11).
Commentando queste parole dell'Apostolo la Traduzione Ecumenica della Bibbia osserva:
“La Lettera pone l'accento sull'iniziativa del Signore che dà alla Chiesa gli uomini necessari per la propria edificazione. In questa lista di ministri si nota il primato degli apostoli”.

Significato d'una scelta
1 - Nella Chiesa primitiva i Dodici, oltre al ruolo di annunciare la Parola e dirigere le comunità, ebbero anche la preoccupazione di assicurare che queste due funzioni fossero partecipate e continuate mediante persone qualificate ad essi intimamente legate.
Il primo esempio di questa preoccupazione fu l'elezione di Mattia per occupare il posto lasciato vuoto dal traditore. Siamo alle origini della Chiesa. Il Vangelo doveva essere annunziato da testimoni oculari e auricolari della vita e della risurrezione del Signore. Mattia era uno di quelli che fin dal battesimo di Gesù era stato in loro compagnia, e lo fu fino alla fine. In questo modo era qualificato a diventare testimone della sua risurrezione e ascensione (cfr. Atti 1, 21-22).
2 - Neppure Saulo, divenuto Paolo, era del numero dei Dodici scelti da Gesù durante la sua vita terrena. Tuttavia egli fu riconosciuto Apostolo a pieno titolo. Egli considera la sua missione come un incarico ricevuto direttamente dal Signore (cfr. Atti 9, 15; Galati 2, 7-10; 1 Corinzi 9, 1). Anche a lui era apparso il Risorto (cfr. Atti 9, 3-5; 1 Corinzi 15, 8).Paolo poteva dire di essere Apostolo “non per volere di uomo né per tramite d'uomo, ma per opera di Gesù Cristo e di Dio Padre” (Ga- lati 1, 1; cfr. 1 Timoteo 2, 7; 2 Timoteo 1, 11; Tito 1, 1;  1 Tessalonicesi 2, 7).
3 - In seguito, nella misura in cui la fede si diffondeva anche fuori la Palestina, e i testimoni oculari diminuivano sempre più, non vi fu la preoccupazione di conservare il numero dei Dodici. L'essenziale era la continuità della missione apostolica. Nessuno prese il posto dell'Apostolo Giacomo, uno dei Dodici, fatto decapitare da Erode (cfr. Atti 12, 2); ma molti dentro e fuori la Palestina continuarono la sua missione in stretta collaborazione con gli Apostoli.
Nelle nuove comunità furono costituiti maestri e guide qualificate ed autorevoli col compito di continuare ed estendere nel tempo e nello spazio la testimonianza e la funzione dei Dodici. Comincia così la catena dei collaboratori prima, e dei successori poi. Non più condizionamento di numero, ma compito di annunciare la Parola, di guidare le comunit\'e0 e di presiedere l'Eucaristia. La catena non si è mai interrotta attraverso i secoli. In questo modo comincia ad attuarsi quella nota caratteristica della vera Chiesa di Cristo, che è la sua apostolicità mediante la successione.


Continua...

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