Origine del celibato sacerdotale cattolico catechesi
di Stefan Heid
Docente di Liturgia e Agiografia
presso il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana
Nella sua sostanza e origine, il celibato è una decisione spirituale. La rinuncia al matrimonio non indica una forma perfetta e semplice di sessualità, come forse si pensava tenendo presente la vita angelica del cielo (Matteo 22, 30). Era un'illusione temporanea che non teneva presente la realtà. Purtroppo, i sacerdoti falliti nella propria sessualità non mancano in alcuna epoca della Chiesa. Come ogni decisione della vita, intesa a lungo termine, anche il celibato richiede una forza interiore. Può essere vissuto solo da un sacerdote sano, capace anche del matrimonio e anche così, è sempre un dono ed una lotta. Si tratta della decisione "per il regno dei cieli" (Matteo 19, 12). Da dove viene però questa decisione? Con quale diritto la Chiesa richiede da ogni singolo candidato all'ordinazione una tale decisione, che è stata ormai assunta come necessaria e totalizzante?
È interessante notare che le prime grandi decisioni pastorali dei Sommi Pontefici, documentate a partire dal IV secolo nei propri scritti (decretali) trattavano anche del celibato del clero. Questa, tuttavia non era la prima volta che si parlava di una disciplina celibataria obbligatoria e si rifletteva sul suo significato e sulla sua origine. I Pontefici, ritenevano il celibato una tradizione apostolica: il celibato risaliva pertanto al periodo degli Apostoli, quindi al primo secolo.
Ovviamente, allora si usava con una certa facilità il predicato "apostolico".
In effetti si può ben dire che sussistono seri motivi per parlare dell'apostolicità storica della prassi del celibato ecclesiastico.
Importanza decisiva è da attribuirsi alla posizione che il celibato aveva nel medioevo: esso era considerato più globalmente rispetto ad oggi. Non si trattava solo di un "celibato fuori dal matrimonio", limitato ai chierici non sposati; piuttosto si trattava di un "celibato di continenza". Ciò significa: tutti i diaconi, i presbiteri e i vescovi - sposati, vedovi o celibi - dal giorno della loro sacra ordinazione si dovevano astenere da ogni forma di attività sessuale. Non a motivo della castità cultuale temporale, per esempio nel giorno precedente la celebrazione eucaristica; si trattava invece della continenza perpetua al servizio illimitato della Chiesa. La continenza dei chierici era allora molto più estesa rispetto ad oggi, dove esistono praticamente solo i sacerdoti celibi. Nella Chiesa primitiva, al contrario, c'erano anche i sacerdoti sposati, che tuttavia vivevano senza rapporti matrimoniali. Nella Chiesa primitiva non esiste alcun esempio di chierico sposato che, dopo la propria ordinazione, abbia legittimamente generato un figlio, anche se, ovviamente, questo non si può escludere.
Dalle lettere ufficiali dei Pontefici (Damaso, Siricio, Innocenzo) sappiamo che il celibato, nell'antichità, era più esteso e riguardava l'intero "clero superiore", quindi anche i diaconi. A questo riguardo non esisteva alcuna differenza tra diaconi presbiteri e vescovi. Questa unità teologica, e anche disciplinare, dell'ufficio superiore era anche il motivo per il quale in Occidente non c'era il diaconato femminile e, anche in Oriente, il diaconato femminile non era sullo stesso livello sacramentale proprio dei diaconi di sesso maschile.
I Pontefici hanno individuato l'origine della continenza perfetta dei chierici nel Nuovo Testamento, nelle lettere pastorali, in base alle quali ci si attende dagli interessati, sia per il diaconato, che per il presbiterato o per l'ufficio episcopale, di essere "uomo di una sola donna", quindi sposato una sola volta (Prima lettera a Timoteo 3, 2.12; Lettera a Tito 1, 6). Perché questa restrizione stereotipa della attitudine dei chierici al matrimonio? I Pontefici nella formulazione "uomo di una sola donna" vedevano indirettamente espresso l'obbligo della continenza perpetua dei chierici sposati (quindi a fortiori l'obbligo della continenza, oppure il divieto del matrimonio, per i chierici celibi o vedovi). I Pontefici avevano chiaramente ragione. Nel caso del matrimonio unico dei chierici sposati, si trattava non solo di una concessione convenzionale, ma le lettere pastorali sono da interpretare nella tradizione delle lettere paoline. Qui, però, chiunque fosse sposato per la seconda volta, era ritenuto incapace della continenza sessuale: egli "arde" e quindi vuole sposarsi di nuovo. Da ciò risulta che secondo la concezione delle lettere pastorali, come chierico non si poteva "ardere" (conseguentemente procreare figli); bisognava piuttosto vivere nella continenza (Prima lettera ai Corinzi 7, 2).
Non è possibile in un breve articolo passare in rassegna tutte le testimonianze dei Padri, cominciando da Clemente di Alessandria, Tertulliano di Cartagine fino a Giovanni Crisostomo e Girolamo; inoltre, numerose conclusioni dei Sinodi della Chiesa primitiva si occuparono della continenza. Dall'anno 200 circa c'erano, in Oriente come in Occidente, indicazioni sulla prassi della continenza dei chierici.
Con sicurezza storica si può affermare che la continenza dei diaconi, dei presbiteri, dei vescovi sposati diventava sempre più chiaramente obbligo, sulla base dell'esempio di Gesù stesso e degli Apostoli. Così, dal iii secolo, tutto va nella direzione del clero non uxorato. In ogni caso, il fatto che molti chierici fossero sposati, non è mai stato un argomento contro il celibato. Piuttosto al contrario, il popolo credente aspettava anche dai chierici sposati la testimonianza della continenza. Il testo fondamentale che nei tempi viene erroneamente addotto come prova contro il celibato, la dichiarazione negativa del vescovo Bonifacio al Concilio di Nicea è invece una leggenda posteriore, che ha origine, probabilmente, nell'ambito della setta di Novaziano.
Se la continenza dei chierici risale ai primissimi secoli, perché allora non hanno la stessa disciplina anche le Chiese orientali?

Dalle lettere ufficiali dei Pontefici (Damaso, Siricio, Innocenzo) sappiamo che il celibato, nell'antichità, era più esteso e riguardava l'intero "clero superiore", quindi anche i diaconi. A questo riguardo non esisteva alcuna differenza tra diaconi presbiteri e vescovi. Questa unità teologica, e anche disciplinare, dell'ufficio superiore era anche il motivo per il quale in Occidente non c'era il diaconato femminile e, anche in Oriente, il diaconato femminile non era sullo stesso livello sacramentale proprio dei diaconi di sesso maschile.
Non è possibile in un breve articolo passare in rassegna tutte le testimonianze dei Padri, cominciando da Clemente di Alessandria, Tertulliano di Cartagine fino a Giovanni Crisostomo e Girolamo; inoltre, numerose conclusioni dei Sinodi della Chiesa primitiva si occuparono della continenza. Dall'anno 200 circa c'erano, in Oriente come in Occidente, indicazioni sulla prassi della continenza dei chierici.
Con sicurezza storica si può affermare che la continenza dei diaconi, dei presbiteri, dei vescovi sposati diventava sempre più chiaramente obbligo, sulla base dell'esempio di Gesù stesso e degli Apostoli. Così, dal iii secolo, tutto va nella direzione del clero non uxorato. In ogni caso, il fatto che molti chierici fossero sposati, non è mai stato un argomento contro il celibato. Piuttosto al contrario, il popolo credente aspettava anche dai chierici sposati la testimonianza della continenza. Il testo fondamentale che nei tempi viene erroneamente addotto come prova contro il celibato, la dichiarazione negativa del vescovo Bonifacio al Concilio di Nicea è invece una leggenda posteriore, che ha origine, probabilmente, nell'ambito della setta di Novaziano.

Se la continenza dei chierici risale ai primissimi secoli, perché allora non hanno la stessa disciplina anche le Chiese orientali?
Non è possibile in un breve articolo passare in rassegna tutte le testimonianze dei Padri, cominciando da Clemente di Alessandria, Tertulliano di Cartagine fino a Giovanni Crisostomo e Girolamo; inoltre, numerose conclusioni dei Sinodi della Chiesa primitiva si occuparono della continenza. Dall'anno 200 circa c'erano, in Oriente come in Occidente, indicazioni sulla prassi della continenza dei chierici.
Con sicurezza storica si può affermare che la continenza dei diaconi, dei presbiteri, dei vescovi sposati diventava sempre più chiaramente obbligo, sulla base dell'esempio di Gesù stesso e degli Apostoli. Così, dal iii secolo, tutto va nella direzione del clero non uxorato. In ogni caso, il fatto che molti chierici fossero sposati, non è mai stato un argomento contro il celibato. Piuttosto al contrario, il popolo credente aspettava anche dai chierici sposati la testimonianza della continenza. Il testo fondamentale che nei tempi viene erroneamente addotto come prova contro il celibato, la dichiarazione negativa del vescovo Bonifacio al Concilio di Nicea è invece una leggenda posteriore, che ha origine, probabilmente, nell'ambito della setta di Novaziano.
Se la continenza dei chierici risale ai primissimi secoli, perché allora non hanno la stessa disciplina anche le Chiese orientali? L'Oriente non è più vicino alla prassi originale? Sì e no. La generale continenza dei chierici in Oriente è attestata prima e meglio che in Occidente. Siccome però il regno bizantino, nel V secolo, è caduto in una grave crisi e si è frazionato più volte, sia nell'ambito della Chiesa che in quello della politica, la disciplina originaria si è gradualmente smarrita. Così, per esempio in Persia la continenza dei chierici veniva abolita nel v secolo per opportunità politica. Gli elementi ortodossi della disciplina clericale (castità cultuale dei sacerdoti, vescovi monaci, vescovi sposati che devono separarsi) sono solo residui della prassi primitiva della continenza. Quando, nel caso analogo, in Occidente si è rigenerata una simile decadenza della spiritualità e quindi, della disciplina, i Sommi Pontefici sono riusciti, più o meno, a mantenere la tradizione.
Come mai si è arrivati alla continenza dei chierici? Bisogna chiarire che la continenza sessuale costituiva uno dei punti essenziali del movimento di Gesù e del cristianesimo primitivo.
A queste spiegazioni storiche si può far seguire una valutazione dogmatica sulla base delle posizioni della Chiesa primitiva. Per cercare di dare un fondamento al prurito di taluni ambienti a noi contemporanei di abolire il celibato ci si richiama sempre al fatto che si tratti di una disciplina secondaria, di diritto "puramente umano" (in questo caso ecclesiastico) che non sarebbe necessariamente legata all'ufficio sacerdotale e, quindi, suscettibile in ogni tempo di essere abolita con un semplice decreto. Ma il celibato ha una dimensione spirituale eminente, trascende di gran lunga la questione disciplinare. Anzi certamente, secondo il giudizio della Chiesa primitiva, il celibato ecclesiastico ha una rilevanza dogmatica.
A partire dalla fine del IV secolo i Romani Pontefici trattano la continenza dei chierici come l'eredità apostolica, biblicamente motivata, non soggetta alla libera disposizione della Chiesa, ma tale da dover essere mantenuta come obbligatoria. Nel divieto del secondo matrimonio, nelle lettere pastorali, essi vedevano la normativa obbligante dell'apostolo Paolo, di ordinare solo quegli uomini che erano pronti e capaci della continenza perpetua. Le lettere pastorali effettivamente permettono di evincere la perfetta continenza dei depositari di uffici. In ciò è possibile richiamarsi a Gesù stesso. Egli raccomandava, non solo ai suoi discepoli celibi, ma anche a quelli sposati (Pietro!) in modo perpetuo, di "essere eunuchi a causa del regno dei cieli" (cfr. Matteo 19, 12).

Sullo sfondo di questa tradizione e del magistero, è davvero azzardato parlare di celibato ecclesiastico semplicemente come "legge" di diritto puramente umano. Quando i padri della Chiesa affermano, implicitamente o esplicitamente l'apostolicità, in concordanza con la Scrittura e l'irrinunciabilità della continenza dei chierici, allora secondo la terminologia odierna (sostenuta anche per esempio da Karl Rahner), qualificano la continenza come di diritto divino. Piuttosto è doveroso rilevare che sarebbe la restrizione posteriore del celibato ai soli candidati celibi a costituire una legge ecclesiastica. Pare che, per i padri, l'ufficio maggiore (vescovi, presbiteri, diaconi) sia necessariamente legato all'obbligo della continenza. D'altro canto essi hanno sempre respinto di considerare la validità dell'agire sacerdotale come dipendente dalla perfezione morale dei chierici. Non affermano nemmeno che la validità dell'ordinazione dipenda dalla precedente promessa della continenza.
A partire dalla fine del IV secolo i Romani Pontefici trattano la continenza dei chierici come l'eredità apostolica, biblicamente motivata, non soggetta alla libera disposizione della Chiesa, ma tale da dover essere mantenuta come obbligatoria. Nel divieto del secondo matrimonio, nelle lettere pastorali, essi vedevano la normativa obbligante dell'apostolo Paolo, di ordinare solo quegli uomini che erano pronti e capaci della continenza perpetua. Le lettere pastorali effettivamente permettono di evincere la perfetta continenza dei depositari di uffici. In ciò è possibile richiamarsi a Gesù stesso. Egli raccomandava, non solo ai suoi discepoli celibi, ma anche a quelli sposati (Pietro!) in modo perpetuo, di "essere eunuchi a causa del regno dei cieli" (cfr. Matteo 19, 12).
Sullo sfondo di questa tradizione e del magistero, è davvero azzardato parlare di celibato ecclesiastico semplicemente come "legge" di diritto puramente umano. Quando i padri della Chiesa affermano, implicitamente o esplicitamente l'apostolicità, in concordanza con la Scrittura e l'irrinunciabilità della continenza dei chierici, allora secondo la terminologia odierna (sostenuta anche per esempio da Karl Rahner), qualificano la continenza come di diritto divino. Piuttosto è doveroso rilevare che sarebbe la restrizione posteriore del celibato ai soli candidati celibi a costituire una legge ecclesiastica. Pare che, per i padri, l'ufficio maggiore (vescovi, presbiteri, diaconi) sia necessariamente legato all'obbligo della continenza. D'altro canto essi hanno sempre respinto di considerare la validità dell'agire sacerdotale come dipendente dalla perfezione morale dei chierici. Non affermano nemmeno che la validità dell'ordinazione dipenda dalla precedente promessa della continenza.