L'inferno Esiste davvero? Catechesi esistenza Bibbia - Cristiani Cattolici: Pentecostali Apologetica Cattolica Studi biblici

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L'inferno Esiste davvero? Catechesi esistenza Bibbia

Catechesi terza parte

L’Inferno  esiste davvero?
Scritto da Stefano BIAVASCHI   


L’esistenza dell’inferno è confermata dalla predicazione di Gesù (Mt 25, Lc 16), dai Padri della Chiesa e dalla Tradizione, dall’insegnamento del Magistero (CCC 1033-1037), dalle molteplici esperienze dei mistici. Tuttavia, permane una corrente neo-modernista all’interno della teologia che ne nega l’esistenza. In sostanza viene affermato: l’inferno esiste come possibilità, ma è vuoto. Secondo questa tesi, Dio costringerebbe dunque tutti ad amarlo e la svalutazione del libero arbitrio risulta dunque evidente. Ma l’argomentazione che viene contrapposta dai fautori della suddetta tesi è questa: come potrebbe una madre essere felice in paradiso sapendo che suo figlio è all’inferno?

Questo interrogativo, che intende porsi come molto convincente, contiene in realtà diversi errori. Per prima cosa, pone “la madre” come criterio assoluto di verità e di amore, scavalcando direttamente la verità e l’amore di Dio infinitamente più elevati. In secondo luogo, pone “il figlio” come oggetto assoluto di amore, mentre non è la parentela la causa dell’amore fra le anime, ma la loro somiglianza con Dio, presente non solo in un figlio, ma in tutte le creature beate. Lo scandalo sarebbe semmai molto più grande, perché Dio ama molto di più di quella madre, e noi ameremo molte più anime che non i soli figli.

Perciò, l’interrogativo posto inizialmente come obiezione è un interrogativo umano molto fragile, a cui talvolta ci si limita a rispondere: come potrebbe una madre essere felice in paradiso vedendo di fianco a lei l’assassino non pentito di suo figlio?
Per comprendere più a fondo il mistero (perché non bisogna mai dimenticare che i “Novissimi” sono misteri non scandagliabili completamente dalla ragione ed estranei alla nostra esperienza), possiamo però riflettere sul concetto di amore e su quello di persona.


In fondo, perché amiamo una persona? Perché scorgiamo in essa un bene. E perché la persona è un bene? Perché contiene una scintilla di quel bene sommo che è Dio, di cui è un riflesso. Mentre Dio è sommo Bene in sé, le anime derivano il proprio bene da Dio, sono come specchi che non brillano di luce propria, ma riflettono la propria luce da Dio. L’amore non è altro che attrazione verso questa somiglianza. Siamo fatti per Dio e non amiamo altro che Dio. Certo, amiamo anche le persone, ma perché sono immagine e somiglianza di Dio. Noi non riusciamo ad amare se non ciò che, almeno in misura ridottissima, contiene ancora una scintilla di Dio. È per questa ragione che non riusciamo ad amare i démoni. Pur sapendo che un tempo erano angeli, hanno poi perso per noi ogni amabilità.

L’amore esige la presenza di un’altra persona come oggetto del nostro amore. Ma cos’è la persona se non il “luogo di risonanza” (per-sonam) del L’inferno Verbo? È la nostra appartenenza a Dio che ci conferisce la nostra natura di persona. Rinunciare a Dio conduce non solo alla perdita della propria capacità di amare, ma anche alla perdita della propria amabilità. Lo specchio disorientato non riflette più alcuna luce. Certo, resta l’io, perché Dio l’ha creato immortale, ma si tratta, nel contesto dell’esclusione eterna, di un io privo di ogni somiglianza col Creatore e dunque privo di ogni amabilità.

In questo senso sì, l’inferno è “vuoto”, perché ha perso ogni contenuto precedentemente riferito all’essere, ridotto alla pura e semplice dimensione dell’esistere. Vi sono sì i dannati, ma non assomigliano più in nulla a quello che erano, sono esseri che hanno del tutto perso ogni originaria riconoscibilità, che si sono completamente uniformati alla tenebra, la quale non solo non si lascia amare, ma non si lascia nemmeno più “vedere”.
Tutto questo però non distrugge la drammaticità dell’inferno, per salvarci dal quale Cristo ha versato per intero il suo sangue. Egli è il Salvatore. Ed è proprio la drammaticità dell’inferno e la sua esistenza che rende indispensabile il suo sacrificio, reso invece inutile dal concetto di “salvezza automatica”.


Ma Dio non poteva far sì che tutti lo amassimo?
L’amore è un atto libero, e presuppone perciò il libero arbitrio. In quanto figli di Dio, conserviamo in noi l’immagine della sua libertà, impressaci dall’atto creativo che ci ha dato forma. Pertanto Dio non costringe nessuno ad amarlo, tanto meno chi non lo vuole: «Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo» (CCC 1033).

IL TIMONE  N. 117 - ANNO XIV - Novembre 2012 - pag. 61.


MASSIMO RIFIUTO, MASSIMA PENA
La pena dell’inferno è uno «stato di definitiva auto-esclusione dalla  comunione con Dio e con i beati» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.  1033). Se l’anima peccatrice scomparisse dopo la morte non avrebbe  senso di parlare di “stato di autoesclusione da Dio” e dunque il  Catechismo cadrebbe in errore. Dobbiamo però provare come si arriva a  questa condizione, ossia dobbiamo provare l’esistenza dell’Inferno. In  altri termini: perché l’uomo potrebbe meritare una simile pena? Tommaso  D’Aquino risponde innanzitutto ricordando che la pena perché sia giusta  deve rispettare un principio di proporzionalità, ossia deve essere  adeguata alla gravità del peccato commesso: al peccato grave, radicale,  assoluto e definitivo deve corrispondere una pena altrettanto grave,  radicale, assoluta e definitiva. E dunque al rifiuto del sommo bene che è  Dio deve corrispondere la pena massima, cioè la più dolorosa – e non  c’è pena più dolorosa che essere separati da Dio -  e la più estesa in  senso temporale: una pena che mai dovrà finire. Più semplicemente,  potremmo dire che ad una colpa infinita per gravità deve corrispondere  una pena infinita nelle sue dimensioni di intensità (perdita di Dio) e  durata (eternità) (cfr. Summa Theologiae, Supp. q. 99, a. 1 c).

PARADISO: UNA LIBERA SCELTA
In secondo luogo Tommaso sottolinea che «l’equità naturale esige che ognuno sia privato di quel bene contro il quale agisce: perché con questo egli si rende indegno di tale bene» (Contra Gentiles, l.  III, cap. 144, n. 3). Se una persona si è mostrata nemica di Dio dovrà  dunque essere privata del bene-Dio. In terzo luogo l’Aquinate richiama  la bipartizione tra peccato mortale e peccato veniale. In merito alla  prima tipologia di peccato egli scrive che «si può peccare […] in modo  da distogliere del tutto l’intenzione dell’anima dall’ordine verso Dio,  che è il fine ultimo di tutti i buoni. […] Ora, se la diversità delle  pene deve essere secondo la diversità dei peccati è logico che colui che  pecca mortalmente deve essere punito con la perdita del fine proprio  dell’essere umano [Dio]» (Ib., cap. 143, n. 1). Tommaso sta  dicendo che sarebbe contraddittorio far partecipare per l’eternità al  fine ultimo che è Dio colui che ha scelto in vita di escludere il fine  ultimo dalla sua esistenza. Dio non può costringere nessuno ad entrare  in Paradiso: deve essere una scelta libera. Chi non ha voluto Dio in  terra, non potrà essere obbligato a volerlo nell’aldilà.

GESU' NE PARLA PIU' VOLTE...
Le riflessioni di ordine razionale prima articolate  vengono suffragate anche dalla Sacra Scrittura che rivela l’esistenza di  una condizione esistenziale dopo la morte contrassegnata da pene  eterne. L’esistenza dell’Inferno dal punto di vista teologico è  evidente: altrimenti Cristo sarebbe morto e risorto per salvarci da  cosa? Non avrebbe nemmeno più senso parlare di salvezza.
Molti sono i passi del Vangelo che testimoniano con certezza l’esistenza dell’Inferno.  Qui ne ricordiamo solo qualcuno: «Poi dirà a quelli alla sua sinistra:  Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il  diavolo e per i suoi angeli. […] E se ne andranno, questi al supplizio  eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25, 41.46); «egli  dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi  tutti operatori d'iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti quando  vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e  voi cacciati fuori» (Lc 13, 27-28); «chi gli [al fratello] dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna» (Mt 5, 22);

«Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te:  conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo  corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è occasione  di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei  tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella  Geenna» (Mt 5, 29-30); «Il Figlio dell'uomo manderà i suoi  angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti  gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove  sarà pianto e stridore di denti» (Mt 13, 41-42); «temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna» (Mt 10,28);  «Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel  fuoco. […] Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti;  allontanatevi da me, voi operatori di iniquità» (Mt 7, 19.23);  «Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti,  levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui» (Lc 16,  22-23); «Gesù gli domandò: “Qual è il tuo nome?”. Rispose: “Legione”,  perché molti demòni erano entrati in lui. E lo supplicavano che non  ordinasse loro di andarsene nell'abisso» (Lc 8, 30-31);

«Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna» (1 Gv 3,15); «Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza» (2 Ts 1,9);

«E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e  zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati  giorno e notte per i secoli dei secoli» (Ap. 20,10). Anche nel  Vecchio Testamento sono molteplici i passi che testimoniano l’esistenza  dell’Inferno tra cui ricordiamo solo Isaia: «Uscendo, vedranno i  cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di me; poiché il loro  verme non morirà, il loro fuoco non si spegnerà e saranno un abominio  per tutti». (Is 66,24); e Daniele: «Molti di quelli che dormono  nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e  gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna» (Dn 12,2).  Questi passi provano l’esistenza dell’Inferno, ma anche se l’Inferno  corrispondesse all’inesistenza dell’anima peccatrice, non si  spiegherebbe perché Gesù non lo avesse esplicitato e non si spiegherebbe  perché per descrivere l’Inferno si fa riferimento a condizioni  esistenziali in cui si provano tormenti e pene. Se l’anima scomparisse  non soffrirebbe un bel niente.

...E ANCHE LA CHIESA
I rimandi alla Sacra Scrittura inoltre sono il primo fondamento su cui  poggia il dogma, per la Chiesa cattolica, dell’esistenza dell’Inferno  confermato in diversi concili, sinodi e documenti anche di carattere  dogmatico. Pensiamo al sinodo di Costantinopoli (543), al IV Concilio  del Laterano (1215), al II Concilio di Lione (1274), al Concilio di  Firenze (1441), al Concilio di Trento (1545-1563), alla Costituzione  dogmatica “Benedictus Deus” (1336) di Benedetto XII, alla Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio fidei (n. 11) emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (1998).

E' VUOTO?
Un’obiezione a quanto sin qui esposto potrebbe essere la seguente:  l’Inferno è certo che esista, ma è vuoto perché non è altrettanto certo  che sono esistite o esisteranno delle persone che rifiutino Dio in modo  così radicale e definitivo da meritarsi una pena infinita.  All’obiezione possiamo rispondere nel modo seguente prima appellandoci  alla sola ragione, poi alla ragione illuminata dai testi sacri. In primo  luogo come non si può escludere che nessuno abbia mai peccato  mortalmente, così – applicando il medesimo criterio logico ma rovesciato  – non si può escludere che qualcuno abbia peccato mortalmente e quindi  si meriti un castigo eterno. In secondo luogo se si ammette l’esistenza  dell’Inferno si deve ammettere almeno la presenza di un’anima dannata.  Infatti l’Inferno non è un luogo, ma uno stato di dannazione sperimentata dalla persona.  Provare, come abbiamo provato, che l’Inferno esiste significa  contemporaneamente provare che almeno una persona vive quella  condizione, proprio perché c’è piena identità tra il concetto di  “Inferno” e il concetto di “esistenza nello stato di eterna separazione  da Dio”. In altri termini non si può dare l’esistenza dell’Inferno senza  dare l’esistenza almeno di una persona che vive la condizione di  dannato. In terzo luogo la Sacra Scrittura afferma che all’Inferno ci  sono gli angeli ribelli e in grande moltitudine (cfr. Ap. 12, 4.9) e dunque non è vuoto.
Se l’Inferno non esistesse perché le anime peccatrici scomparirebbero,  come spiegare l’esistenza all’Inferno dei demoni? Non dovrebbero  scomparire anche loro? In quarto luogo se l’Inferno è già abitato dai  demoni che hanno rifiutato Dio non si comprende per quale ragione non  potrebbe essere abitato anche da quegli uomini che, al pari degli  angeli, hanno rifiutato Dio. E dunque all’Inferno sarebbero presenti  delle anime.  In quinto luogo è lo stesso Vangelo a dar prova non solo  che l’Inferno non è vuoto, ma che in esso sono presenti molte anime  dannate: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e  spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. […] Molti  mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato  nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli  nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti;  allontanatevi da me, voi operatori di iniquità» (Mt 7, 13.22-23).

                 

LE ANIME ESISTERANNO ANCHE NELL'INFERNO?
Un’ultima obiezione potrebbe però suonare così: la pena  giusta per i peccatori che hanno rifiutato Dio è l’annichilimento,  ossia la perdita della stessa esistenza. Questa obiezione fu confutata  da Tommaso D’Aquino nella Summa Theologiae. Vediamo cosa  scrisse: “sebbene per il fatto che uno pecca contro Dio, autore  dell'essere, meriti di perdere la stessa esistenza, tuttavia,  considerato il disordine intrinseco dell'atto, non è giusto che perda  l'esistenza: perché l'esistenza è il presupposto sia del merito che del  demerito, e d'altra parte essa non viene distrutta o compromessa dal  disordine del peccato. Perciò la privazione dell'esistenza non può  essere la pena dovuta a una colpa” (Supp., q. 99, a. 1, ad 6).  Tommaso ci sta dicendo che se è giusto e doveroso punire Tizio che ha  peccato e non si è convertito, occorre che Tizio esista, altrimenti non  si potrebbe comminare la pena. L’esistenza è quindi condizione  necessaria per infliggere la pena. Inoltre la gravità del peccato non  riesce a compromettere o addirittura ad annullare l’esistenza di  un’anima peccatrice.

fonte: lanuovabq.it - Tommaso Scandroglio
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