Giuda è all'inferno? Catechesi e spiegazioni bibliche - Cristiani Cattolici: Pentecostali Apologetica Cattolica Studi biblici

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Giuda è all'inferno? Catechesi e spiegazioni bibliche

Catechesi seconda parte
Giuda all'inferno? Un dogma e due libri per chiarirlo
    
                                                
«Se il cielo è vuoto o  il cielo è pieno, il giorno che che ci guarderemo si saprà», cantava  Luciano Ligabue. Domanda legittima, alla quale c’è una risposta,  granitica, data dalla Chiesa da almeno 2000 anni. Peccato che la stessa  domanda ormai non la si faccia più per l’anti-Cielo, altrimenti detto  Inferno, che negli ultimi tempi è diventato sempre più tabù: esisterà? E  se esisterà, sarà mica vuoto? Colpa di una teologia che ha cercato di  sbarazzarsi, riuscendoci almeno nella predicazione comune di molti  pastori, dello stato di lontananza eterna da Dio nel quale sprofondano  le anime che hanno scelto deliberatamente di rifiutare il suo Amore.
 
A cominciare da quell’apostolo che per primo ci finì.  O no? Se Giuda sia all’Inferno o no è argomento che appassiona da tempo  i teologi e gli esegeti. A inserirsi in questo dibattito arriva ora un  abate francese, Guy Pagès che ha dato alle stampe un libro intitolato  “Giuda, è all’inferno?”, con sottotitolo: Risposte a Hans Urs von  Balthasar e un accorato appello rivolto nientemeno che al Papa: quello  di affermare un nuovo dogma, che dica sostanzialmente che attualmente ci  sono numerose anime all’inferno, e quindi anche quella di Giuda. Sfida  improba, ma forse necessaria da percorrere.
 
Pagès è stato intervistato da François Billot de Lochner (qui la traduzione dell’intervista  a cura di Claudio Forti) e il libro è interessante soprattutto per  comprendere che quella dell’Inferno è una dottrina a tutto tondo, che  dovrebbe essere recuperata anche nella predicazione con lo scopo della  salvezza delle anime.
 
«Fino alla metà del XX secolo si era sempre professato che Giuda  fosse all’inferno. Sia il Catechismo del Concilio di Trento, San  Tommaso d’Aquino, i Padri, la liturgia, tutto faceva parte di questa  credenza che Giuda era all’inferno. Ma oggi, invece, si sostiene di non  saperlo. Tutto ciò deriva dal lavoro di Hans Urs von Balthasar, che ha  influenzato tutti i teologi e i pastori della sua epoca», dice Pagès.
 
Pagès ha voluto mostrare che Giuda invece è all’inferno.  «Ce l’ha voluto rivelare lo stesso Nostro Signore Gesù Cristo.  Affermare che l’inferno può essere vuoto è una contraddizione in  termini, perché l’inferno in sé stesso è il deliberato rifiuto che  l’uomo può dare a Dio per il dono della libertà da Lui ricevuto. Non c’è  nessun inferno se nessuno rifiuta Dio. Dunque, parlare di inferno vuoto  suppone perlomeno un rifiuto esistenziale dovuto alla libertà umana.  Dunque, dire che l’inferno è vuoto è un non senso».
 
L’abate ricorda che lo stesso «sant’Alfonso Maria de  Liguori dice che “Dio ha creato l’inferno per essere amato”. Se non ci  fosse l’inferno, chi amerebbe Dio?» e che «la ragione fondamentale per  cui oggi la Chiesa si è tanto debilitata è dovuta al fatto che ha perso  il senso di ciò che significa essere salvata. Quindi la verità del  Vangelo è dire che se non ci convertiamo siamo tutti perduti e siamo  destinati all’inferno».
 
Non potevano mancare le apparizioni mariane, come  Fatima, a dare manforte a questa verità: «All’inizio del XX secolo la  Vergine Maria ha giustamente parlato anche dell’inferno, perché Ella  sapeva che era necessario preservare quel dogma e che si doveva  ricordarlo; che se i popoli non si fossero davvero convertiti sarebbero  andati all’inferno. Se questa realtà è stata mostrata a dei bambini,  vuol dire che voleva far sapere che cosa succede in quel luogo».
 
Poi l’accorato appello: «Chiedo al Papa nientemeno  che la definizione di un nuovo dogma. Questo dogma sarebbe da estendere a  tutta la cattolicità, e consisterebbe nel confessare, nell’affermare  che attualmente ci sono numerose anime all’inferno, e quindi anche  quella di Giuda. Che non si può essere cattolici se non si crede a tutto  ciò».
 
Ma quale sarebbe l’obiettivo di questo dogma? «Se il  papa definisse questo dogma la vita della Chiesa ne uscirebbe  completamente trasformata. Il guardare a ciò che noi possiamo evitare, e  lo evitiamo se siamo in comunione con il Signore, è un mezzo per  apprezzare in maniera maggiore il dono di Dio».
 
L’abate francese non è il solo che si è occupato  recentemente del mistero di Giuda e dell’Inferno. Anche lo scrittore - e  firma della Nuova BQ - Rino Cammilleri ha affrontato il caso  dell’apostolo traditore da una prospettiva inedita e coraggiosa: un  viaggio psicologico dentro il mistero di un uomo che non accettò che il  messia dovesse essere diverso da come se lo era immaginato tutta la  vita.
 
Ne è uscito così Il mio nome è Giuda (La  fontana di Siloe), l’ultimo romanzo storico dell’apologeta cattolico.  «Non è che uno diventa traditore così di punto in bianco – ha spiegato  Cammilleri al mensile Il Timone che lo ha intervistato nel  numero di gennaio attualmente in distribuzione agli abbonati – e questo  mistero mi ha sempre intrigato. Perché tradisce? Che cosa lo porta a  scatenare l’evento della crocifissione?”.
 
Cammilleri si è affidato alle ricostruzioni storiche  più attendibili che si trovano sulla figura di Giuda. Anzitutto i  Vangeli, ma anche la Vita di Gesù Cristo dell’abate Ricciotti e Giuda, l’enigma del male di Nicolas Grimaldi (Sei) e soprattutto L’assemblea che condannò il messia. Storia del Sinedrio che decretò la pena di morte di Gesù, libro scritto da Augustin e Joseph Lèmann, due fratelli ebrei convertiti al cristianesimo.
 
“Giuda - ha detto Cammilleri - cercava questo messia  come ragione di vita dato che apparteneva ad una classe d’elite del  popolo di Israele, nata per consacrarsi fin dalla nascita al futuro  messia. Ecco perché vedere il suo comportamento così diverso lo mette  ko”. Dopo pagine e pagine di dubbi, Giuda capisce che c’è qualche cosa  in Gesù che non collima con quello che aveva presunto di sapere per  tutta la vita del messia: perché dovrà morire in croce? Che storia è mai  questa di un regno che non è di questo mondo. E allora che cosa ho  aspettato io tutta la vita? Eppure ha un fascino straordinario, compie  miracoli, è davvero un personaggio unico. Che fare? Il suo cuore si fa  oscuro, di pietra, inizia a pensare a come sistemare la faccenda. Ma è  angosciato nel dubbio: è lui il messia o no?
 
L’unico modo che aveva per chiarirlo era metterlo  davanti al Sinedrio, così avrebbe potuto chiarire tutto. “Così potrà far  vedere che è lui il vero messia oppure no, che è soltanto uno dei tanti  impostori”, pensò. Il resto è storia nota. E qui inizia la sua vera  dannazione. Giuda si suicida perché non accetta che quel tradimento  sarebbe stato perdonato, come accadde poi per Pietro. E si avvia così in  quel fondo oscuro dal quale potè vedere la conclusione terrena di Gesù  per poi essere definitivamente immerso in un gelido buio. Nel quale  maledire per sempre se stesso.
Andrea Zambrano

Purtroppo, il tema gnostico della salvezza di Giuda non è nuovo; la  novità sta nell’anatema lanciato da Paglia, il quale non dev’essersi  accorto di averlo scagliato contro Gesù stesso, che, in riferimento a  Giuda, non aveva lasciato adito a dubbi: «Il Figlio dell'uomo se ne va,  come sta scritto di lui, ma guai a quell'uomo dal quale il Figlio  dell'uomo è tradito! Bene per quell'uomo se non fosse mai nato!» (Mc.  14, 21). Cosa c’è di peggio che non l’essere mai nato? Chiunque abbia la  fede cattolica nell’esistenza dell’Inferno, conosce bene la risposta.

 
Una maledizione, quella riportata, che il Maestro non ha lanciato contro gli altri discepoli,  che pure lo hanno abbandonato e neppure contro Pietro, che lo ha  rinnegato per ben tre volte. Evidentemente Gesù, che è Dio, sapeva che  il traditore non si sarebbe pentito. Ma non si tratta dell’unico  elemento delle Scritture che ci porta almeno a non essere troppo  ottimisti circa la sorte eterna di Giuda; Gesù, pregando il Padre, si  rivolge a Lui con queste altre inequivocabili parole: «Nessuno di loro è  andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse  la Scrittura» (Gv. 17, 12).

 
E’ vero che ormai abbiamo imparato dal generale dei Gesuiti  che, in assenza di registratori imperiali, non sappiamo esattamente  cosa abbia detto Gesù; ma ci si conceda che queste parole dimostrano  almeno che la prima comunità cristiana riteneva – eccome! – che Giuda  fosse finito nei bassi fondi. Tutti eretici.

 
Eretici pure gli estensori del Catechismo tridentino,  che, riferendosi alla virtù di penitenza, nel paragrafo 241, hanno  messo in guardia da quell’eccesso che si chiama disperazione: «Tale  sembra essere stato il caso di Caino che esclamò: "II mio peccato è più  grande del perdono di Dio" (Gn 4,13) e tale fu certamente quello di  Giuda, il quale pentito, appendendosi al laccio, perdette insieme la  vita e l'anima (Mt 27,3; At 1,18)». Forse per Caino, ma certamente per  Giuda. Anathema sit!
 
Eretico anche San Leone Magno, che nel Sermone LXII (undicesimo sulla Passione),  parla della disperazione di Giuda ed afferma che «il traditore, non  poté ottenere questo perdono, perché, quale figlio di perdizione, avendo  alla destra il diavolo, giunse alla disperazione prima ancora che  Cristo completasse l’opera, sacra ed efficace, della universale  Redenzione». Ed aggiunge, a scanso di equivoci, che «l’empio traditore  insorse contro se stesso non con la resipiscenza di chi si piega a  penitenza, ma con la follia di chi va in perdizione. Fu così che, avendo  venduto agli assassini l’autore della vita, anche nell’atto di morire,  commise peccato, ad aumento della sua condanna (in augmentum damnationis suae)». E si potrebbe proseguire, con altri santi e dottori. Ovviamente tutti eretici.

 
Ma perché mons. Paglia si mette ad anatemizzare gli insensibili accusatori di Giuda in un contesto di riflessione sulle cure palliative?

 
La Conferenza Episcopale Svizzera ha deciso di dare delle indicazioni dottrinali e pastorali sul suicidio assistito, dilagante nel paese elvetico, con il documento Comportamento pastorale di fronte alla pratica del suicidio assistito (testo francese scaricabile qui e riassunto in italiano qui).  I Vescovi hanno espresso la radicale contrarietà di questa pratica al  Vangelo ed hanno affermato il dovere di difendere la vita umana dal  concepimento alla morte naturale. Se il suicidio rimane «un atto  intrinsecamente cattivo», il suicidio assistito è ancora più grave, in  quanto «azione riflessa, organizzata e pianificata».

Il documento affronta poi una questione pastorale delicata:  di fronte a diverse richieste da parte di persone che hanno scelto il  suicidio assistito, di essere accompagnate dalla presenza del sacerdote,  i vescovi elvetici hanno esortato ad accompagnare queste persone il più  possibile, nella speranza del pentimento. Ma hanno poi aggiunto che  «l’agente pastorale ha il dovere di lasciare fisicamente la camera del  malato nel momento stesso dell’atto suicida».

 
La ragione di questo comportamento è spiegata con chiarezza: «Rifiutandosi,  in questo momento preciso, di assistere una persona che volontariamente  si toglie la vita, l’agente pastorale testimonia con i fatti l’opzione  della Chiesa in favore della vita [...] Malgrado tutti gli sforzi fatti,  la presenza di un agente pastorale a fianco di una persona che si  suicida deliberatamente, sarebbe interpretata, forse a posteriori, come  un sostegno o una cooperazione: non solo i familiari coinvolti e le  associazioni stesse potrebbero interpretare questo atto come  un’approvazione dell’aiuto al suicidio, ma la società potrebbe pensare  che la Chiesa avvalli queste azioni: il rischio è immancabilmente quello  di un oscuramento della testimonianza pubblica della Chiesa in favore  della vita».
I vescovi svizzeri hanno dunque trovato il giusto equilibrio tra  l’assistenza umana e spirituale alla persona e la testimonianza della  riprovazione del suicidio assistito.

 
Mons. Paglia, con la precisione e la delicatezza di un elefante in una cristalleria,  rispondendo proprio ad una domanda sulla questione pastorale affrontata  nel documento, se ne è uscito con espressioni di questo tipo: «Mai  nessuno deve essere abbandonato, in qualunque situazione si trovi [...]  Accompagnare e tenere per mano chi muore è un grande compito che ogni  credente deve promuovere, così come il contrasto al suicidio assistito».  Già. E perché non stare con una donna nel momento in cui abortisce? E  magari di fianco ad un sicario, mentre uccide un innocente? Dopotutto,  il Signore non abbandona nessuno.

 
Paglia ha poi aggiunto: «Io faccio sempre i funerali a chi si suicida». Male,  perché se è vero che il Codice di Diritto Canonico (can. 1184) in  vigore non menzioni esplicitamente i suicidi tra le categorie di coloro  ai quali si devono rifiutare le esequie ecclesiastiche, è altrettanto  vero che vi sono però «i peccatori manifesti, ai quali non è possibile  concedere le esequie senza pubblico scandalo dei fedeli». Di fronte ad  un suicidio, specie se in presenza dell’aggravante della  predeterminazione e del rifiuto di ravvedimento, bisognerebbe almeno  prendere seriamente in considerazione l’eventualità che si tratti  proprio del caso previsto dal Diritto Canonico.

 
Poi, in perfetto stile Sant’Egidio, chiarendo di non  aver «letto nel dettaglio il documento» dei vescovi della Svizzera,  mons. Paglia si sfila dall’argomentazione, con la solita scusa di chi  lancia il sasso e ritira la mano: «Il tema va oltre le leggi e io non  voglio dare una regola per contraddire e via dicendo. Vorrei togliere  l’ideologia da queste situazioni per sempre e per tutti. [...] Evitiamo  di bloccarci su dibattiti ideologici: quello che è più importante è  l’accompagnamento». Già, l’accompagnamento; se poi la direzione sia  verso la salvezza o la condanna eterna poco importa: l’importante è  accompagnare. E soprattutto mettere il cervello in naftalina, altrimenti  si diventa ideologici.
 
Morale della favola, mons. Paglia esorta ad accompagnare senza una meta,  non rifiuta a nessun suicida il funerale, ma non risparmia l’accusa di  eresia a chi ritiene che Giuda sia all’Inferno. La domanda sorge  spontanea: siccome il canone appena citato, afferma anche che si debbono  rifiutare i funerali a «quelli che sono notoriamente apostati, eretici,  scismatici», vuoi vedere che Paglia li rifiuterà a noi, che crediamo  che Giuda sia nel fuoco inestinguibile? (Luisella Scrosati)

fonte: lanuovabq
http://www.lanuovabq.it/it/giuda-allinferno-un-dogma-e-due-libri-per-chiarirlo

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