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SUMMA TEOLOGICA
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PARTE I
Sacra doctrina comprende tutto ciò, per san Tommaso, ed egli non si sentiva certamente meno teologo sul pulpito del predicatore che sulla cattedra di professore; ma per attenerci alla forma più elaborata in cui egli ha praticato questa doctrina, bisogna sapere che si possono distinguere in essa tre linee di forza. In primo luogo la linea «speculativa» per la quale egli è giustamente rinomato e che è quella dell‘intellectus fidei propriamente detto: lo sforzo di comprendere con la ragione ciò che è conosciuto per fede. Questo primo orientamento è stato perseguito con predilezione dai grandi commentatori come Capreolo, Gaetano o Giovanni di San Tommaso, ma
1 Per maggiori dettagli cf. Y. CONGAR, Tradition et sacra doctrina chez saint Thomas d’Aquin, in J. BETZ - H. FRIES (edd.), Église et Tradition, Le Puy 1963, pp. 157-194; A. PATFOORT, Thomas d’Aquin. Les clefs d’une théologie, Paris 1983, pp. 13-47; J.-P. TORRELL, La scienza teologica secondo Tommaso e i suoi primi discepoli, in G. D?ONOFRIO, Storia della Teologia nel Medioevo, t. II, Piemme, Casale Monferrato 1996, pp. 849-934. 2 Abbiamo cercato di mostrano in J.-P. TORRELL, La pratique pastorale d’un tbéologien da XIIIe siècle. Thomas d’Aquin prédicateur, RT 82 (1982) 213-245.
esso è lungi dall‘essere l‘unico perseguibile; Tommaso ha anche praticato un‘altra linea che oggi chiameremmo «storico-positiva». L‘anacronismo si trova soltanto nelle parole, poiché il fatto è proprio questo: durante tutta la sua vita Tommaso è stato un commentatore della Scrittura — anzi era proprio questa la prima forma del suo insegnamento — e non ha mai cessato di documentarsi sui Padri della Chiesa e la storia dei Concili. Questo orientamento è stato troppo poco coltivato dai suoi discepoli; vi fu addirittura un‘epoca in cui lo si è completamente perso di vista a vantaggio di una esaltazione indebita dell‘apparato filosofico da lui messo in opera. E stato necessario attendere il nostro tempo per riscoprire le ricchezze dei commenti scritturistici e rendersi conto che Tommaso doveva molto anche a sant‘Agostino. Vi è infine una terza linea che si può dire «mistica», ma in un senso che occorre precisare, riscontrabile nel carattere «pratico» che Tommaso riconosceva alla teologia (e che noi abbiamo preso l‘abitudine di chiamare «teologia morale»). Questi tre orientamenti maggiori che Tommaso faceva convergere nell‘unità indivisa della sacra doctrina, dopo di lui non hanno tardato a divergere. Fin dall‘inizio del XIV secolo — qualunque sia peraltro l‘interesse che si voglia attribuire a quest‘epoca per la storia del pensiero — tutta una serie di fattori, sui quali non è il caso qui di soffermarsi, hanno contribuito a quel che l‘osservatore è obbligato a chiamare uno «sbriciolarsi» del sapere teologico nelle diverse specializzazioni, fino alla sua disintegrazione. Attualmente si constata — alcuni per deplorarlo, altri per rallegrarsene — l‘assenza e anche l‘impossibilità di una sintesi teologica. In realtà noi siamo gli eredi di un processo di disgregazione cominciato secoli fa .
La linea speculativa di san Tommaso ha deviato in una «scienza delle conclusioni» dove l‘arte del teologo consisteva nel ricercare conclusioni nuove tramite il sillogismo, eventualmente definibili da parte del magistero in virtù, soltanto, della loro certezza teologica. Questo modo di praticare teologia è oggi così tragicamente fuori moda che ha trascinato nel suo scomparire la stessa teologia speculativa nel suo sforzo d‘intelligenza della fede. La linea storico-positiva, staccata dalla precedente — che invero per prima s‘era distaccata da questa seconda — ha evoluto sempre più verso un‘erudizione storica altamente specializzata. E certamente la branca della teologia che si è meglio sviluppata (si pensi al progresso dell‘esegesi e della patrologia) e non si potrebbe far altro che rallegrarsene se la pretesa d‘indipendenza della sua ricerca e dei suoi metodi non l‘allontanasse sempre più dalla teologia propriamente detta, allorché il suo compito non ha senso che all‘interno dell‘organicità della teologia.
Quanto alla linea mistica, non essendo più onorata da nessuna delle altre due, essa ha cercato di erigersi da sé in una branca autonoma con una tendenza anti-ntelletualista ben comprensibile. E così che si è arrivati a una teologia «ascetica e mistica» cui si devono molte opere (alcune lodevoli, peraltro) fino alla prima metà del nostro XX secolo. Quando non sono stati gli autori di manuali che, per compensare l‘aridità della loro teologia, hanno aggiunto essi stessi dei pii corollari alle loro dimostrazioni. In realtà, una teologia ben intesa deve inglobare questi diversi aspetti e noi capiremo le ragioni di questo ricordando ciò che è la teologia alla scuola di san Tommaso, che a sua volta ha seguito un filone inaugurato da sant‘Agostino e da sant‘Anselmo. UNA SCUOLA DI VITA TEOLOGALE
Prima di ogni altra cosa, la teologia è un‘espressione della vita teologale, un‘attività che esercita a pieno le virtù di fede, di speranza e di carità. Se nel seguito di questa ricerca si parla soprattutto della fede, è per essere brevi e per sottolineare dove si situa il nodo esplicativo di alcune qualità della teologia, ma deve essere chiaro che questa fede non è dell‘ordine di una pura adesione intellettuale all‘insieme di verità di cui si occupa il teologo. La fede — in san Tommaso come nella Bibbia — è l‘attaccamento vitale di tutta la persona alla stessa Realtà divina, raggiunta per mezzo della fede attraverso le formule che la svelano a noi. Questo legame fra teologia e fede compare già nelle espressioni correnti: «intelligenza della fede» (intellectus fidei) oppure «la fede cerca di capire» (fides quaerens intellectum). E per quanto lontano vogliamo risalire nella storia, i pensatori che hanno riflettuto sul metodo da loro impiegato hanno espresso tale convinzione. Senza usare la parola «teologia», che non doveva apparire se non molto più tardi, sant‘Agostino parla già di questa scientia «che genera, nutre, difende e fortifica la fede sovranamente salutare»5.
Nella preghiera finale della sua grande opera sulla Trinità, quando rende conto a Dio di ciò che ha voluto fare, egli spiega con garbo: «Dirigendo i miei sforzi secondo questa regola di fede, nella misura in cui ho potuto farlo io Ti ho cercato; io ho desiderato vedere con l‘intelligenza ciò che conoscevo per fede»6 . Stupisce che anche sant‘Anselmo - inventore della formula fides quaerens intellectum - esprima il suo progetto teologico in una preghiera: «Io desidero comprendere almeno un po‘ la Tua verità, la Tua verità che il mio cuore crede e ama», e aggiunge questo, che è molto significativo: «Io non cerco di comprendere per credere, ma io credo per comprendere (credo ut intelligam)» . All‘origine di quest‘ultima espressione si trova un versetto della Scrittura letto nella versione dei Settanta: «Se voi non credete, non comprenderete»8. Agostino stesso ha ripreso varie volte questo versetto, ma non ha temuto di formularne l‘aspetto complementare: «Bisogna comprendere per credere, ma occorre anche credere per comprendere»9. In Anselmo, come in Agostino, al punto di partenza vi sono la fede e la sua oscurità, l‘intelligenza e il suo desiderio di sapere, assieme alla certezza che l‘una incitando l‘altra saranno beneficiarie entrambe del successo della loro comune impresa.
Questo convincimento è rimasto per secoli un bene comune della teologia; i teologi contemporanei — come d‘altronde quelli del passato — possono divergere su molti punti, ma se vogliono restare teologi non possono essere in disaccordo su questo legame della teologia con la fede. Nell‘eredità di sant‘Agostino e di sant‘Anselmo, il pensiero di san Tommaso si può riassumere affermando che per lui la teologia intrattiene nei confronti della fede una relazione di origine e di costante dipendenza senza la quale non esisterebbe. Essa non trova lì soltanto il suo punto di partenza ma la sua ragione d‘essere. Senza la fede, non soltanto la teologia non avrebbe alcuna giustificazione, ma non avrebbe nemmeno il suo oggetto: la cosa è facile da capirsi poiché solo la fede permette al teologo di entrare in possesso di questo. Un parallelo con la filosofia può essere qui illuminante. Se non vi fosse in noi nessuna possibilità di cogliere il reale, i nostri ragionamenti non sarebbero che puro artificio.
Per quanto fossero logicamente connessi, essi non esprimerebbero in alcun modo la realtà. La fede costituisce in noi questa aggiunta di capacità di
cui ha bisogno l‘intelligenza umana per essere «all‘altezza» del reale divino. Essa ci permette di raggiungerlo poiché «l‘atto del credente non termina alle formule [del Credo] ma alla stessa realtà [divina]». Senza la fede noi non saremmo in possesso che di formule vacue e le nostre più belle costruzioni non sarebbero che botti vuote. Viceversa, con essa si può veramente iniziare ad essere teologi. A riguardo, Tommaso ha una straordinaria espressione concernente il suo santo patrono: dal momento in cui cade in ginocchio ai piedi del Risorto che gli mostra le sue piaghe, l‘apostolo Tommaso, l‘incredulo, diventa subito un buon teologo.
La fede non aderisce al suo oggetto in modo statico. Animata da un ardente desiderio proveniente dall‘amore per la verità divina, il quale la penetra da parte a parte fin dai suoi primi balbettii, la fede è più e meglio che una semplice accettazione nell‘obbedienza della rivelazione. Essa è animata da un «certo desiderio del bene promesso», che spinge il credente a dare il suo assenso, malgrado il possibile timore che l‘oscurità da cui resta avvolta la verità divina potrebbe lasciargli. Questo desiderio, che spinge verso il Bene ancora imperfettamente conosciuto e che sboccia infine nella carità pienamente teologale, costi ce il vero motore della ricerca teologica. San Tommaso lo riassume in un testo giustamente celebre: «Spinto da un‘ardente volontà di credere, l‘uomo ama la verità che crede, la considera nella sua intelligenza e la circonda del maggior numero possibile di ragioni che può trovare a tale scopo»14. Se per un verso ci è impossibile amare qualcosa di cui non abbiamo previa conoscenza, dall‘altro non siamo in grado di conoscere davvero bene se non ciò che davvero amiamo. Questa massima si applica evidentemente alle relazioni interpersonali, ed è precisamente per questo che trova la sua realizzazione eminente nel campo della fede teologale.
Se la fede non è concepibile senza amore, è perché essa non si riferisce a una verità astratta ma ad una persona in cui Bene e verità si identificano. La Verità prima che forma l‘oggetto della fede è anche il Bene supremo oggetto di tutti i desideri e dell‘intero agire dell‘uomo; è per questo che non la si può raggiungere nella sua globalità se non tramite un movimento complesso da parte nostra che coinvolge simultaneamente intelligenza e volontà, e che san Paolo chiama «fede che agisce tramite l‘amore» (Gal 5, 6)15.La conoscenza che ne avremo non potrà che essere debole e imperfetta, eppure è la più nobile delle conoscenze che potremmo mai acquisire e che ci darà la più grande delle gioie16.
TEOLOGIA E VISIONE DI DIO
science au XIIIe siècle, Paris 1957 più recente: J.-P. TORRELL, La scienza teologica secondo Tommaso d’Aquino e i suoi primi discepoli, in G. D?ONOFRIO (ed.), Storia della Teologia nel Medioevo, TI, Piemme, Casale Monferrato 1996, pp. 849-934. 18 Super Boetium De Trinitate, q. 2, a. 2, Leon., t. 50, pp. 94-97; Expositio libri Posteriorum I, 2-4; Leon., I 2, 1989, pp. 10-22; T. TSHIBANGU, Théologie positive et théologie spéculative, Louvain-Parjs 1965, pp. 3-34: «La notion de science selon Aristote». 19 I, q. 1, a. 8; De uer. q. 14, a. 2 ad 9; Sent. I, Prol., a. 5 ad 4. 20 I, q. 1, a. 2; Sent. I, Prol., a. 3, q. 2; SuperBoetium De Trin., q. 2, a. 2 ad 5.
dall‘altro è proprio questo che ne costituisce per noi la grandezza. La trasposizione effettuata da Tommaso sottolinea la necessità imprescindibile della fede teologale per il lavoro teologico: «Colui che pratica una scienza subalternata non giunge alla peifezione di essa che nella misura in cui la sua conoscenza è in continuità con quella del sapiente che pratica la scienza subalternante. Anche in questo caso, egli non avrà la scienza dei principi che ne riceve, ma soltanto delle conclusioni che ne trae necessariamente. E così che il credente può avere la scienza di ciò che conclude a partire dagli articoli di fede»21. Se ci si ricorda ora del desiderio di vedere che anima questa ricerca, si è allora in grado di situare la teologia nella vita cristiana. Essa non è estranea al movimento dell‘essere cristiano alla ricerca di Dio; anzi, essa si situa esattamente sulla traiettoria che va dalla fede alla visione beatifica. E di conseguenza il teologo che la pratica si trova in una situazione completamente diversa da quella di uno studioso di qualsiasi altra branca del sapere. Egli non ha nessun bisogno di abbandonarla per trovare Dio, gli è sufficiente spingere al massimo l‘esigenza della sua scienza per essere irresistibilmente diretto verso Colui che è lo scopo ultimo della sua vita di credente.
Un vero teologo non può mai dimenticare che il soggetto del suo sapere, il fine che persegue, è la conoscenza del Dio vivente della storia della salvezza. Ed è qui che si può, senza giocare troppo sul senso della parola «soggetto», ritrovare l‘accezione del linguaggio contemporaneo. Parlare di Dio come «soggetto», vuol dire anche che egli non si riduce ad un «oggetto» — nemmeno all‘oggetto mentale puro che il teologo può conoscere. Un soggetto è una persona che si conosce e che si ama (dato che si è fatta conoscere e amare), che si invoca e che si incontra nella preghiera. La teologia conoscerà una svolta drammatica il giorno in cui, ingannati dalla definizione della scienza come «abito delle conclusioni» e dimentichi della distinzione tra soggetto e oggetto e della sua reale portata, i teologi a partire dal XVI secolo giungeranno ad assegnare come fine al loro sapere non più la conoscenza del suo soggetto, ma quella del suo oggetto: dedurre il maggior numero possibile di conclusioni dalle verità contenute nel deposito della rivelazione. Questo errore è stato denunciato molto spesso e non è qui il nostro scopo23; ci basta comprendere che la posizione di Tommaso è completamente diversa. Certo, egli definisce la teologia come scienza delle conclusioni (per opposizione ai principi di cui essa non può avere scienza, ma soltanto fede)24 , ma non è questo il fine che le attribuisce; esso consiste senza alcun dubbio nella conoscenza del suo soggetto25. E innanzitutto questo dunque che san Tommaso vuole dire quando asserisce che Dio stesso è soggetto della teologia. Ma ciò significa anche che bisogna risalire fino a lui per trovare la chiave che spiega tutte le altre prospettive troppo spesso unicamente descrittive. Come la creazione, la redenzione non può essere spiegata al livello dell‘opera compiuta; bisogna ricorrere al soggetto che ne ha avuto l‘iniziativa, Dio stesso nel suo amore misericordioso. Ancor meno la Chiesa può spiegarsi da se stessa; occorre «risalire» a Colui che ne è il Capo, il Cristo, ed egli stesso, quanto alla sua umanità, non è che l‘inviato del Padre e della Trinità. In tutto ciò di cui si occupa, il teologo è rinviato incessantemente alla primitiva origine che è l‘Amore nella sua fonte trinitaria. Concretamente, e Tommaso impara la lezione, questo vuoi dire che in teologia tutto, assolutamente tutto, deve essere considerato in rapporto a Dio: è da lui che provengono tutte le cose, è verso di lui che si dirigono tutte le creature. Puramente teorica di primo acchito, questa presa di posizione costituisce quindi una radicale esigenza di ricentrare non soltanto tutto il sapere teologico ma l‘intero sforzo dell‘uomo, provocato così a rimettere Dio al centro di tutto ciò che può fare, dire e pensare. Mai nessun mistico ha detto né potrà dire qualcosa di più forte.
Poiché è fin troppo chiaro che se la teologia è così teologalmente centrata, la spiritualità che ne fluisce lo sarà altrettanto. In secondo luogo, ma non accessoriamente, questa tesi centrale spiega anche alcune qualità della stessa teologia. Così, il fatto che la teologia sia contemplativa è una conseguenza di questa prima tesi su Dio soggetto della teologia. Tommaso ci ritorna quando si chiede se la teologia sia una scienza «pratica». Formulata in questo modo, la questione potrebbe far sorridere, ma si tratta in effetti di sapere se la teologia può estendersi fino a trattare delle regole dell‘agire umano. La non ammette dubbi: se, come abbiamo detto, la teologia è effettivamente una partecipazione al sapere che Dio ha di se stesso, allora sarà certamente una scienza pratica, poiché: «è con il medesimo sapere che Dio conosce se stesso e realizza tutto ciò che fa (ma la teologia, aggiunge Tommaso] è tuttavia più speculativa (= contemplativa) che pratica, perché si occupa più delle realtà divine che degli atti umani. Essa non tratta degli atti umani se non nella misura in cui è tramite essi che l‘uomo si orienta verso la perfetta conoscenza di Dio in cui consiste la beatitudine»26. Questa è una risposta che colloca Tommaso a parte nella serie dei teorici della scienza teologica: fino a lui se ne parlava certo come di un sapere anche contemplativo, ma in primo luogo essenzialmente ordinato alla realizzazione perfetta della carità. «Questo sapere è ordinato all‘agire», diceva il suo contemporaneo Roberto Kilwardby.
Tommaso, per primo, e già dal suo commento alle Sentenze, lo vede al contrario orientato verso la contemplazione, poiché se è polarizzato da Dio, come abbiamo appena visto, questo orientamento prevale su tutti gli altri e non si tratta evidentemente di una realtà che l‘azione umana potrebbe porre in essere. Dio non è una costruzione dell‘uomo, che di lui non può disporre; egli, da noi, non può che essere conosciuto e amato. E di questo che Tommaso vuoi tener conto quando afferma che la teologia deve essere principalmente speculativa. Questa risposta contiene un altro elemento capitale per il seguito che ci proponiamo. Essa permette di constatare che Tommaso non conosce la distinzione a noi familiare tra teologia morale e teologia dogmatica — come ignora anche la grande ripartizione del lavoro teologico in teologia positiva e teologia speculativa. E la medesima e unica sacra doctrina che ingloba tutto questo, come essa ricopre ugualmente, l‘abbiamo veduto, i concetti più tardivi di «spiritualità» o «teologia spirituale». Se senza esitazione bisogna riconoscere i benefici procurati dalla crescente specializzazione dei differenti campi del sapere teologico, è anche permesso auspicare che coloro che io praticano abbiano una coscienza sempre più profonda della sua unità fontale. Per Tommaso la cosa andava da sé ed è proprio questo ciò che riscopriremo presto nella sua grande sintesi del sapere teologico.
COME UN‘IMPRONTA DELLA SCIENZA DIVINA
e a cui conferisce una perfetta libertà nell‘esercizio. L‘abilità di un artigiano e un habitus, come l‘arte di un dottore o il sapere di uno scienziato. A metà strada tra la natura e il suo agire, l‘habitus costituisce il segno e l‘espressione della piena realizzazione di essa. Dono divino del tutto gratuito, la fede risiede in noi sotto forma di habitus, quindi di uno speciale perfezionamento che sopraeleva la nostra naturale capacità di conoscere all‘altezza di un oggetto nuovo, Dio stesso e il mondo delle cose divine. Forma precisa che la grazia assume nella nostra intelligenza, la fede è anch‘essa una partecipazione alla vita di Dio e realizza tra lui e noi una specie di connaturalità che ci rende capaci dì cogliere spontaneamente ciò che risale a Dio. Quello che chiamiamo il sensus fidei è precisamente questa capacità di comprendere — per così dire — ...naturalmente» le cose soprannaturali, come un amico capisce l‘amico — senza discorsi27. È questo che ci spiega la formula di san Tommaso secondo cui la fede è in qualche modo l‘habitus che permette di cogliere i principi della teologia28; e i principi sono le verità prime a partire dalle quali essa sviluppa la sua elaborazione scientifica. Con il senso dell‘essenziale che lo caratterizza, egli identifica questi principi della teologia con gli articoli stesso del Credo e, con il gioco di relazioni tra principi e conclusioni in cui risiede il procedimento scientifico, li riconduce, in ultima analisi, a due verità assolutamente prime: Dio esiste e ci ama. Non è questa una ricostruzione arbitraria; Tommaso la trova espressa nel versetto della lettera agli Ebrei (11, 6): «Colui che si accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano». Questi due primi credibilia contengono in sintesi tutto l‘insieme della fede: «Nell‘essere di Dio è incluso tutto ciò che crediamo esistere eternamente in lui: è la nostra beatitudine; nella fede nella sua provvidenza è incluso tutto ciò che egli ha compiuto nel tempo per la nostra salvezza: è la via alla beatitudine»29. Si riconosce qui senza esitazione l‘antica distinzione dei Padri greci tra la theologia, la parte della teologia che si interessa direttamente della vita intima di Dio, la Trinità delle persone, e l‘oikonomia, ciò che Dio ha compiuto nel tempo per salvarci, la storia della salvezza. Tommaso ne offre, nel testo che segue, una formulazione un po‘ più tecnica (il fine e i mezzi), ma molto vicina alla lettera del Nuovo Testamento: «Appartengono di per sé alla fede quelle cose della cui visione godremo nella vita eterna e per mezzo delle quali ivi siamo condotti. Due cose saranno allora offerte alla nostra contemplazione: il segreto divino, la cui visione ci rende beati e il mistero dell‘umanità di Cristo, per mezzo del quale abbiamo accesso alla gloria dei figli di Dio (Em 5, 2). Come dice infatti san Giovanni (17, 3): ?Questa è la vita eterna, che conoscano te, l‘unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo?»30 . Il legame qui stabilito tra la nozione di articolo di fede e la beatitudine finale è sicuramente sorprendente, e Tommaso lo sottolinea volentieri: «Ciò che di per sé appartiene all‘oggetto della fede è ciò per cui l‘uomo è reso beato»31. ? La nozione di principio richiama irresistibilmente quella di fine ed è qui che si rivela compiutamente l‘interesse ermeneutico della nozione di articolo di fede-principio della teologia. Alla luce dei testi richiamati e di numerosi altri, appare chiaramente
che l‘intelligibilità interna del contenuto della rivelazione è legata alla sua valenza salvifica. Certo, tutte le verità rivelate hanno valore di salvezza, ma il legame e in fondo la gerarchia che possiamo stabffire tra di esse si ricavano dal loro rapporto con Dio, colto come primo autore e fine sovranamente beatificante della sua creatura.
E dunque la loro identificazione pura e semplice a questo fine o la loro prossimità ad esso più o meno grande che giocano qui un ruolo assolutamente decisivo32. Così può essere completato ciò che resta da dire a proposito del discorso della scienza. L‘entrare in relazione di una verità-principio con una verità-conclusione non avviene in modo isolato. La mira del procedimento scientifico è molto più ambiziosa; è l‘insieme delle verità rivelate che occorre mettere reciprocamente in relazione in modo tale da ricostruire l‘intelligibilità interna del dato rivelato33. Infine, è intorno ai primi due credibilia che deve organizzarsi il lavoro di spiegazione teologica se esso vuole avere qualche opportunità di cogliere la coerenza interna del piano salvifico di Dio. La volontà salvifica di Dio non ha certo altra causa all‘infuori del suo amore totalmente libero e disinteressato e non si tratta qui di imporle le strutture intelligibili della nostra intelligenza. Ma, nella convinzione che Dio ha fatto tutto «con misura, calcolo e peso» (Sap 11, 20) e che dirige tutte le cose «con ogni sapienza e intelligenza», il teologo si applica a scoprire il rapporto organico che esiste tra le varie opere di Dio: «Dio vuole che una cosa esista in vista di un‘altra, ma non per questo la vuole» 34. E la scoperta di queste reciproche relazioni e la loro riconsiderazione in una sintesi il più possibile completa, dove queste saranno situate secondo la loro importanza relativa, che condurrà ad una migliore intelligenza dell‘opera e del suo autore, Dio stesso, unico soggetto della sacra doctrina. E questo ideale che Tommaso esprime con una formula presa dalla tradizione avicenniana e che fa pienamente sua: la scienza non è nient‘altro che una «riproduzione nell‘anima della realtà conosciuta», poiché la scienza è detta essere l‘assimilazione del conoscente al conosciuto35. Oppure, secondo un‘altra formula anch‘essa molto eloquente, la struttura del reale è riprodotta nell‘intelligenza secondo una organizzazione ragionata (ordinata aggregatio) dei concetti delle cose esistenti 36. Il docente che insegna avendo già elaborato per sé questa ricostruzione, è in grado, per questo, di imprimere nell‘intelligenza dell‘ascoltatore una visione sintetica della realtà che gli vuole comunicare. Così deve essere spiegata la celebre formula di Tommaso a volte fraintesa: in quanto tale la sacra doctrina è «come un‘impronta della scienza divina»37.Lungi dal reclamare per la teologia un privilegio esorbitante (dato che ogni scienza umana è in qualche modo partecipazione della scienza divina), questa formula non è altro che l‘espressione esatta della situazione di dipendenza della scienza del teologo rispetto a quella di Dio.
Il privilegio non 32 Senza dilungarci possiamo segnalare che questo modo di vedere le cose aiuta a capire la raccomandazione del Vaticano TI sulla necessità di tener conto della «gerarchia delle verità della dottrina cattolica nella pratica dell?ecumenismo», cf. Unitatis redintegratio, n. 11; si può vedere a tal proposito Y. CONGAR, On the hierarchia veritatum, «Orientalia christiana analecta» 195 (1973), pp. 409-420; W. HENN, The Hierarchy of Truths according to Yves Congar O.P., «Anal. Greg. 246», Roma 1987. 33 I redattori del cap. III della Dei Filius al Vaticano I si sono certamente ricordati di queste vedute quando hanno così definito il compito della teologia speculativa: «Quando la ragione illuminata dalla fede ricerca con cura, pietà e moderazione, essa giunge, mediante il dono di Dio, a una certa intelligenza molto fruttuosa dei misteri, sia grazie all?analogia con le cose che conosce naturalmente, sia grazie ai legami che collegano i misteri tra di loro e con il fine ultimo dell?uomo». 34 I, q. 19, a. 3: «Vult ergo [Deus] hoc esse propter hoc, sed non propter hoc vult hoc». 35 De ueritate, q. 11, a. 1 arg. 11: «Scientia nihil aliud est quam descriptio rerum in anima, cum scientia esse dicatur assimilatio scientis ad scitum». 36 SCG I 56 (n. 470): «Habitus [scientiae]... est ordinata aggregatio ipsarum specierum existentium in intellectu non secundum completum actum, sed medio modo inter potentiam et actum». 37 I q. 1, a. 3 ad 2: «Velut quaedam impressio divinae scientiae».
riguarda la teologia, ma la fede, poiché essa permette di ricevere la rivelazione che Dio offre di se stesso38. Mettendo così in continuità il nostro sapere con quello che Dio ha di se stesso, la fede rende possibile la nascita e lo sviluppo del sapere teologico. UNA SCIENZA «PIA»
Tommaso non c‘è dubbio che sia così —? si capisce che egli non abbia avuto alcuna necessità di elaborare una spiritualità accanto alla sua teologia. È la sua teologia stessa che è uno teologia spirituale, e si dovrebbe poter sempre riconoscere un teologo tomista dal tono spirituale, che avrà saputo dare anche alle elaborazioni più tecniche. Se questa articolazione a volte necessita di essere messa in evidenza, magari per quei lettori meno preparati a scoprirla, essa è tuttavia, almeno in germe, sempre presente. Però la parola «spiritualità» ha preso ai nostri giorni alcune connotazioni più precise ed è importante esserne coscienti per evitare di utilizzarla a vanvera… I L‘Al di là di tutto ( I qq. 1ss) (Il problema ?dell‘esistenza? di Dio in S. Tommaso)
sarebbe evidente e che non sarebbe necessario stabilirla. A costoro Tommaso replica: in sé essa è evidente, ma non per noi48. Ne è prova il fatto che gli increduli sono numerosi. Ma se occorre che il teologo almeno mostri che non è irragionevole credere, è ancora più importante, forse, ch‘egli stesso prenda coscienza di ciò che implica il primo articolo della professione di fede.
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